Becoming, la storia di Michelle Obama

In questo 2020 dominato, comprensibilmente, dalle notizie sul Covid-19, nelle ultime settimane un altro argomento ha, soprattutto per alcuni giorni, cercato di farla da padrone.

Le votazioni e conseguenti elezioni del quarantaseiesimo Presidente degli Stati Uniti d’America. Come tutti sappiamo, la partita si è giocata tra il candidato del Partito Repubblicano Donald Trump e quello del Partito Democratico Joe Biden (già ex Vicepresidente della presidenza Obama).

La politica è da sempre un argomento che mi interessa molto. Non sono una massima esperta, certo, ma cerco di tenermi informata, cercando di non rimanere all’oscuro di ciò che succede nel mondo. Questa elezione, poi, ha assunto non solo per me, ma per tutti noi, un’importanza elevatissima… E a chi dice che le elezioni in USA siano qualcosa che non ci tocca, beh, direi di pensarci meglio e rendersi conto che tutto ciò che avviene (o non avviene) negli USA ha un impatto totale su tutto il resto del mondo.

Bene, presa dalle notizie e dallo sconforto iniziale di una possibile rielezione di Donald Trump, mi sono resa conto di sentire la mancanza (!) dei modi e della civiltà di una delle first family più amate della storia americana: gli Obama. E mi è tornato in mente il fatto che già da un po’ avessi intenzione di leggere la biografia di Michelle Obama, Becoming, La mia Storia.

La copertina del libro

Quest’autobiografia parte da lontano, dal South Side di Chicago, dove il 17 gennaio 1964 nasce Michelle, figlia di genitori della classe operaia, Fraser e Marian Robinson, e sorella minore di Craig.

Michelle ci parla della sua infanzia, del suo essere una bambina impertinente, che non le manda a dire, e di grandi ambizioni, seppur costantemente dubbiosa di essere a tal punto brava da meritare più degli altri e sempre convinta di non doversi mai concedere nulla per paura di perdere il suo obiettivo. Ci parla delle sue scuole, di quanto le differenze razziali fossero reali e pesanti, di quante volte sia durante i suoi studi (Michelle Obama è laureata a Princeton e successivamente specializzata alla Harvard Law School – due tra gli istituti più prestigiosi del mondo) che durante il suo lavoro, si sia trovata ad essere l’unica donna, e l’unica persona afroamericana in una stanza gremita di uomini bianchi.

Veniamo a sapere di quando, mentre lei lavorava per la società Sidley Austin, incontra un giovane e promettentissimo avvocato da tutti considerato un fenomeno e che aveva un nome stranissimo, un certo Barack Obama. Di come lei all’inizio non avesse alcuna intenzione di legarsi sentimentalmente a qualcuno perché intenzionata prima di tutto a realizzarsi professionalmente, per poi trovarsi travolta dai sentimenti per questo ragazzo dalla grande mente e dai modi gentili. Leggiamo della loro voglia di diventare genitori, ma delle difficoltà a rimanere incinta, tanto da spingere la coppia a tentare, poi con successo, la fecondazione in vitro.

Vorrei soffermarmi su questo episodio che nel libro viene raccontato con tutta la semplicità di questo mondo per sottolineare, davvero, la caratura e l’importanza di questo libro. Una first lady (non importa che il memoir sia stato pubblicato dopo la fine del doppio mandato Obama) che si apre al mondo raccontando della sua esperienza con la fecondazione assistita, grazie alla quale è riuscita a diventare madre due volte, ha secondo me un’importanza incredibile e spezza un tabù che molte donne (e uomini) si trovano a dover affrontare e per il quale, spesso, provano un’ingiusta vergogna.

Malia Obama, Sasha Obama, Barack Obama e Michelle Obama
(Photo by Theo Wargo/WireImage)

Michelle fa un racconto intimo e aperto in merito alla sua vita, al suo matrimonio, alle difficoltà di dover far fronte agli impegni di una madre in carriera, che sente fortemente la vocazione materna ma allo stesso modo sente il bisogno di affermarsi lavorativamente e di quanto sia difficile doversi fare carico di tutto, avendo un marito così impegnato e, di conseguenza spesso assente. Ci dice di quanto odiasse la politica perché toglieva così tanto tempo alla sua vita di coppia e di quanto fosse in disaccordo col marito quando egli le palesò l’intenzione di candidarsi alla Presidenza degli Stati Uniti. L’accordo era “se vinci, bene, se perdi, chiudi definitivamente con la politica”. Il resto è storia.

È stato molto interessante leggere della vita della first family, avendo accesso all’interno di essa. È stato interessante anche vedere come le cose più semplici, cose alle quali noi comuni mortali non faremmo neanche caso, possano diventare difficili se non impossibili. Come anche uscire sul balcone a bere una bibita fresca ha bisogno di organizzazione e non può essere fatto a cuor leggero.

Ho sempre ammirato gli Obama. Dopo aver letto questo libro forse li ammiro un po’ di più, perché mi ha aiutato a rendermi conto ancora di più degli oneri (e non solo degli onori) di un incarico così importante e difficile e fa capire, ancora una volta, che con l’impegno, il duro lavoro e la costanza, nessun traguardo è impossibile.

In un mondo profondamente razzista e misogino, due persone afroamericane provenienti da famiglie modeste, sono arrivati in cima al mondo, solo grazie alle loro capacità, alla loro costanza, al loro impegno. La presidenza degli Obama ha significato tantissimo, sotto una moltitudine di punti di vista. Michelle ce lo ricorda e ricorda ad ognuno di noi (soprattutto alle donne e alle minoranze) che noi e solo noi siamo fautori del nostro destino.

Leggete la storia di Michelle Robinson, poi diventata Obama, sarà illuminante.

Autore: Michelle Obama
Titolo dell’opera: Becoming. La mia Storia.
Titolo originale dell’opera: Becoming
Numero di pagine: 528
Voto: 5/5
Dove trovarlo: cartaceo, e-book, documentario Netflix

L’anno 1947 raccontato da Elisabeth Åsbrink

L’anno 1947 è stato un anno molto importante per la storia del nostro presente. Le scelte prese, i delitti non perseguiti, i protagonisti di quell’anno si portano uno strascico fino ad ora. È bene conoscere il proprio passato per poter affrontare meglio il proprio oggi.

Elisabeth Åsbrink racconta gli avvenimenti successi quell’anno mettendo il focus su ogni mese e su una singola città. La lettura è infatti molto scorrevole e veloce perché i paragrafi dedicati ad ogni luogo della storia sono in media molto corti; cosa che rende la lettura sempre molto piacevole.

Questo anno è importante per la Storia perché è “un’epoca in cui tutto sembrava possibile perché tutto era già successo“.

Premesse dell’anno 1947

Nonostante i nazisti avessero perso la guerra, il pensiero trova ancora terreno fertile. In Svezia si riuniscono con nuovo fermento intorno a Per Engdahl e creano un gruppo di aiuto per far fuggire i gerarchi nazisti in Argentina.

È proprio qui che si rifugia Eichmann e trova accoglienza in un gruppo di nazisti, supportati dall’allora presidente. Questi sono tra i primi negazionisti dell’Olocausto perché non credono agli orrori compiuti dagli amici tedeschi, ma proprio Eichmann, che è stato uno dei maggiori fautori della soluzione finale, conferma tutto vantandosene. A queste parole i nazisti argentini prendono quindi le distanze da lui.

In generale il mondo, sebbene ben consapevole di quello che sono stati i campi di concentramento, ha voglia di dimenticare e non punire quella Germania degli orrori. I pochi processi ai nazisti stavano terminando e non si volevano investire altri soldi per nuovi processi, ma soprattutto il terrore dell’avanzamento del Comunismo da Oriente era peggio della punizione da dare ad una Nazione che ha cercato di distruggere un intera cultura, rea solo di professare una religione.

Raphael Lemkin e la definizione di genocidio

Sebbene in America non ci fossero più fondi e la voglia di dimenticare il passato per creare un nuovo futuro era molto forte, entra in gioco in questo momento un avvocato polacco, Raphael Lemkin.

In quel periodo uccidere un gruppo di persone accomunate dalla stessa cultura e religione non era grave come ucciderne una sola, non creava lo stesso disagio nell’opinione pubblica.

In questo pensiero non ci si ritrovava Raphael Lemkin, che lasciò un ottimo impiego per perseguire la sua causa: far riconoscere questo delitto. È grazie a lui che fu coniato il termine genocidio e che fu riconosciuto dalle Nazioni Unite come uccisione fisica e biologica. Il significato che ne dava Lemkin era però molto più ampio: per lui era altrettanto grave la distruzione culturale di un gruppo ampio di persone, “il divieto di usare la propria lingua, l’assimilazione forzata e la distruzione del proprio patrimonio culturale“.

Esattamente tutto quello che hanno cercato di fare i nazisti nell’epurazione delle razze non considerate ariane. In aggiunta a questo loro hanno anche eliminato le singole persone annullandole e riclassificandole in un numero, togliendo loro l’identità con la rasatura dei capelli, cosa che non permetteva di capire subito se una persona era uomo o donna.

Il caso Palestina-Israele

La liberazione dei campi di concentramento ha creato un altissimo numero di profughi. Molti ebrei tedeschi non volevano fare ritorno in quella che prima era la propria casa, chi vorrebbe mai tornare nel luogo dal quale ti hanno espropriato? Ma soprattutto non sono ben voluti in nessun luogo.

Elisabeth Åsbrink racconta di episodi in cui gli ebrei si trovano dentro delle navi impossibilitate ad attraccare in nessun porto, perché più stati non li accettano. Questo ci ricorda forse qualcosa?

Gli ebrei richiedono quindi di poter avere un pezzo di terra da chiamare casa e dal quale nessuno potrà cacciarli. Per loro casa è dove ora si trova la Palestina, la loro vecchia dimora, dalla quale iniziò il loro esodo 5000 anni fa.

Chiaramente la Palestina in questo 5000 anni è stata occupata da un popolo che vive lì e che ha messo le proprie radici, ma per gli Stati occidentali questo non è un grosso problema: quel terreno in un modo o nell’altro dovrà ospitare anche gli Ebrei.

Si crea una commissione di Stati neutrali, o almeno considerati tale. I delegati arrivano dall’Uruguay, dal Guatemala, dal Peru, dalla Jugoslavia, dalla Cecoslovacchia, dall’Australia, dal Canada, dalla Svezia e dai Paesi Bassi.

In pochi mesi i delegati dovevano decidere come Israeliani e Palestinesi avrebbero dovuto convivere in quel lembo di terra. La soluzione che è stata votata fu la divisione in due Stati con Gerusalemme, la capitale, sotto amministrazione comune.

Chiaramente gli Stati arabi non sono d’accordo con questa soluzione. Il Gran Muftì esorta un’unione degli Stati arabi contro gli Ebrei e di offrire loro accoglienza armata. In risposta a questo gli Stati Uniti ordinano l’ingresso in Israele e da qui inizia la questione Palestina-Israele che ancora oggi non ha trovato soluzione.

George Orwell

Eric Arthur Blair, meglio conosciuto come George Orwell, nel 1947 si trovava a Jura con il figlioletto adottivo. La moglie purtroppo è morta e loro si rifugiano vicino alla sorella di lui.

Nel periodo passato in quest’isola scrive 1984 malato a letto e tiene un diario nel quale annota avvenimenti insignificanti come quante uova è riuscito a trovare nel pollaio.

Primo Levi

Primo Levi riesce a far pubblicare, con fatica, Se questo è un uomo dalla piccola casa editrice Francesco de Silva.

La pubblicazione avviene in 2500 copie l’11 ottobre 1947. Purtroppo il libro non raccoglie in consenso meritato e sparisce nel nulla. Fortunatamente dopo anni la testimonianza cruda e vera di Primo Levi viene letta ancora e trova posto nelle nostre librerie.

Per far smettere gli orrori del passato dobbiamo sempre essere informati e testimonianze come questa non dovrebbero mai passare inosservate.

Autore: Elisabeth Åsbrink
Titolo dell’opera: 1947
Titolo originale dell’opera: 1947
Numero di pagine: 314
Voto: 5/5
Dove trovarlo: libro, ebook.

Guida cinica alla cellulite

Nessuna donna si sente perfetta, sicuramente neppure le modelle bellissime di Victoria Secret. Tutte allo specchio vediamo i nostri difetti e il più grande è la cellulite, quei buchini sulla pelle di fianchi, cosce e sedere.

Nella ricerca continua di un rimedio a questi inestetismi compriamo creme, ci affidiamo a mani che riteniamo esperte di estetiste per farci fare massaggi e subire gli effetti di quelle strane macchine sul nostro corpo.

Cristina Fogazzi con cinismo e umorismo ci descrive senza mezzi termini che cosa è e soprattutto cosa non è la cellulite. Ad esempio i buchi che vediamo quando stringiamo il sedere, non è cellulite, bensì i tendini.

La nuova copertina

L’estetista cinica ci spiega come vivere la cellulite

Innanzitutto l’autrice del libro Cristina Fogazzi spiega cosa è il grasso. Io non sapevo che durante la giovinezza le cellule di grasso, chiamate adipociti, crescono in numero rispetto a quanto siamo dei bambini paffutelli o magri. Quindi è in giovane età che si decide il grasso corporeo che probabilmente avremo da adulti.

Quando ingrassiamo gli adipociti diventano più grandi e quando dimagriamo si riducono.

La cellulite è “una malattia del pannicolo adiposo sottocutaneo” il suo nome scientifico è Pannicolopatia Edemato Fibro Sclerotica. Un nome terribile che tutte le donne pensano di avere, ma non tutte hanno. Cristina Fogazzi in questa guida cinica ci aiuta a capire come riconoscerla e come attenuarla.

La cellulite è provocata dalla cattiva circolazione; infatti molte donne soffrono di piedi e gambe perennemente fredde, sono per questo quelle più soggette a questo inestetismo.

Non sempre quello che crediamo essere cellulite lo è davvero. Con il passare degli anni, il poco sport o a causa del dimagrimento la pelle perde tonicità creando dei buchi che potrebbero sembrare cellulite, ma in realtà non lo sono.

Ci sono quattro stadi della cellulite, in base alla gravità:

  • stadio 1: la semplice ritenzione idrica;
  • stadio 2: la buccia d’arancia;
  • stadio 3: quando la buccia d’arancia si accompagna a dei buchetti;
  • stadio 4: la cellulite senza alcun dubbio con buchi visibili e pelle flaccida.
La vecchia copertina

Quello che ho imparata dalla Guida cinica alla cellulite

Una cosa che per me è cambiata da quando ho letto questo libro tre anni fa è la camminata, infatti da allora ad ogni passo che faccio mi premuro di puntare il tallone e rollare il piede fino alla punta. Se prima dovevo pensarci, ora è un’abitudine che aiuta il sangue a sconfiggere la forza di gravità.

Ho imparato che le creme anticellulite non funzionano, perché la nostra pelle ha uno schermo che ci protegge e quindi non lascia passare neppure i prodotti che dovrebbe “sciogliere” quei brutti inestetismi. Se comunque esistono alcuni prodotti che possono aiutare hanno un costo estremamente alto, perché le creme anticellulite da profumeria o supermercato non possiedono abbastanza prodotto agente per aiutare veramente.

Ho soprattutto potuto apprezzare il fatto di non possedere le inguardabili culotte de cheval!

Autore: Cristina Fogazzi e dott. Enrico Motta
Titolo dell’opera: Guida cinica alla cellulite
Numero di pagine: 223
Voto: 4/5
Dove trovarlo: Kindle, libro.

Lettera a un bambino mai nato – Oriana Fallaci

Lettera a un bambino mai nato, pubblicato per la prima volta nel 1975, è il primo libro di Oriana Fallaci che mi è capitato di leggere.

Il mio rapporto con l’autrice era sempre stato contrastato.

Sapevo bene chi fosse, sapevo che era (stata) una giornalista tra le più grandi e più impavide, che era sempre stata un’inviata di guerra e che era una donna tutta d’un pezzo, fortissima, che non abbassava la testa davanti a nessuno (celeberrima la sua intervista all’ayatollah Khomeini, in cui si spoglia del chador, definendolo “stupido cencio da medioevo”).

Una foto dell’intervista

Amo questo suo lato combattente e femminista. Ma ricordavo anche, ancora troppo vividamente, le sue parole (e le sue pubblicazioni) successive all’attentato alle Torri Gemelle del 2001. Subito dopo quell’attentato, infatti, la Fallaci aveva dato in pasto all’opinione pubblica delle dichiarazioni a dir poco infelici. Pubblicando, successivamente, alcuni testi (per esempio La rabbia e l’orgoglio) che io mi sono sempre rifiutata di leggere.

Quando comprai Lettera a un bambino mai nato, quindi, non sapevo cosa aspettarmi. Lo acquistai a scatola chiusa e iniziai a leggerlo immediatamente (cosa che in realtà non mi succede quasi mai).

La copertina del libro

Il libro tratta temi delicatissimi e, per certi versi tabù. Perfino 45 anni dopo la prima edizione di questo testo.

L’aborto, la vita, le differenze di genere sono tra i temi trattati in questo in questo libro che si potrebbe quasi definire un monologo. La protagonista, una donna di cui non sappiamo assolutamente nulla, si interroga sulla vita, su cosa significhi il dare la vita, sul quanto il dare la vita sia una scelta di responsabilità e di ciò che comporta. Perché donare la vita non significa, banalmente, solo far nascere qualcuno. Donare la vita vuol dire donare gioia, ma anche tanto dolore. Vuol dire donare la possibilità di avere delle soddisfazioni, ma anche delle mortificazioni. Perché la vita è tutt’altro che un qualcosa di semplice, è una guerra quotidiana, e chi decide di mettere al mondo una creatura deve essere consapevole che si sta donando il tutto, ma allo stesso tempo anche il niente.

È un libro che affronta e parla delle preoccupazioni, delle insicurezze, delle paure che le donne (sia sole, come nel caso della nostra protagonista, che in coppia) si trovano a dover affrontare dal momento in cui si rendono conto di essere rimaste incinte. A quelle che saranno le rinunce, i dolori, e le gioie che questo comporta.

In una società come quella moderna, dove ancora si ritiene accettabile che chiunque pensi di avere diritto di esprimere ed emettere sentenze riguardanti le donne e i loro corpi, Lettera a un bambino mai nato è un libro necessario. In una società come quella moderna in cui, proprio in questi giorni, le donne polacche si trovano a dover scendere in piazza per lottare e difendere il loro diritto alla interruzione di gravidanza, Lettera a un bambino mai nato è un libro che dovrebbe essere letto da tutti. In una società come quella moderna, in cui alle donne (e mai agli uomini) viene chiesto ai colloqui di lavoro se intende avere figli, un testo come questo è un punto di partenza per riflettere su quanto veramente significhi mettere al mondo un essere umano che non ha chiesto di essere messo al mondo e che non ha chiesto di trovarsi a dover lottare giornalmente per la sopravvivenza.

Chi conosce un po’ la vita di Oriana Fallaci, sa che anche lei (come la protagonista del nostro libro) aveva avuto alcuni anni prima un aborto spontaneo e si pensa, a ragione o meno, che questo testo abbia un qualcosa di autobiografico. La verità, però, è che Lettera a un bambino mai nato è un libro che parla di lei, di me, di te, di tutti noi. Anche degli uomini. Perché anche se è vero che un uomo difficilmente si troverà nella posizione di dover scegliere tra la famiglia e il lavoro, è anche vero che il senso di responsabilità che scaturisce dal mettere al mondo un altro essere umano è un qualcosa che tocca (o dovrebbe toccare) ognuno di noi.

Autore: Oriana Fallaci
Titolo dell’opera: Lettera a un bambino mai nato
Titolo originale dell’opera: Lettera a un bambino mai nato
Numero di pagine: 145
Voto: 5/5
Dove trovarlo: libro, audiolibro

La Marea dentro ognuno di noi

Ho iniziato la lettura di questo romanzo con molta curiosità. Ho avuto il piacere di conoscere virtualmente Severino Cirillo e mi ha subito colpito: insegna Scienza della Felicità. Come potrebbe non colpire una cosa del genere?!

Durante la masterclass dove lui era l’esperto del mese gli è stato chiesto quale dei suoi romanzi ci consigliava di leggere, o comunque da quale cominciare. Lui con gran sicurezza ha consigliato Marea dentro, però avvisandoci che è una lettura un po’ forte. Non posso fare altro che confermare.

Di cosa parla Marea dentro

Sebbene la lettura sia molto intensa, la scrittura è così piacevole ed elegante, che pure le scene più scabrose scivolano tra le pagine senza lasciare scioccati. Ogni parola scritta per quel romanzo è giusta, gli appartiene e non poteva essere tolta, come anche Cirillo tiene a sottolineare nei ringraziamenti finali.

Non sono totalmente in grado di descrivere la trama, ma mi sento di dire che l’intero romanzo è una lettera d’amore ad una ragazza meravigliosa e speciale che il protagonista ha incontrato durante una camminata, e da lì è iniziata la loro strada congiunta, camminando senza meta apparente.

Il rapporto inizia ad incrinarsi quando il ragazzo della storia inizia a percorrere un sentiero prescritto dalla società, quindi lavoro fisso, casa di proprietà e famiglia. La ragazza al contrario, della quale sappiamo solo essere finlandese, è un animo libero, vuole essere libera e non abbandonerà mai questa idea di vita.

Durante il racconto il ragazzo scrive varie volte che lui per lei riesce in imprese per le quali solitamente da solo non avrebbe la forza e sottolinea più volte la libertà di lei intrinseca nel suo vero essere. Lei è una persona che non ha paura di niente, una persona speciale, o almeno era speciale per lui.

Tutti però ad un certo punto crescono e purtroppo non si può vivere di solo amore e libertà, infatti il ragazzo, più ancorato alla vita reale, si rende conto che la ragazza inizia a soffrire di questa normalità e l’allontanamento lo porta ad una sofferenza interiore che è come una marea.

La marea dentro di lui si trasforma in depressione, quella brutta che non ti fa alzare dal letto, sebbene fuori dalla porta della camera ci sia un lavoro che aspetta. Ed è qui che incontriamo il ragazzo, a letto, che chiama la sua fidanzata, che però non risponde.

La scrittura di Severino Cirillo

Il romanzo è scritto in prima persona singolare e si rivolge alla ragazza sempre in seconda persona singolare. Anche per questo motivo mi è subito venuto da pensare ad una lettera.

Non sono predisposta a pensare che questa scelta stilistica voglia significare che è la storia di tutti. Secondo me Severino Cirillo ha avuto bisogno di questo racconto per chiudere definitivamente la storia con questa ragazza. E mettere su carta quello che abbiamo dentro aiuta a liberarci di quei demoni e questioni irrisolte che ci occupano il cervello rubando il nostro presente per ancorarci al passato. Anche se non si può dire al diretto interessato quello che vorremmo, scriverlo aiuta a toglierlo dalla testa e andare avanti serenamente sarà poi più facile.

Marea dentro è composto di capitoli molto brevi e non consecutivi temporalmente. Si concatenano infatti una linea temporale presente, passata (inventata e non) e onirica. Il ritmo è così veloce che io mi ritrovavo a credere anche ad un episodio inventato e mi sono chiesta più volte durante la lettura se davvero il protagonista fosse riuscito a raggiungere Marte.

Un indizio su come prendere questo racconto ci viene dato dal resto del libro dove si legge: Cosa faresti se avessi un’altra occasione?
La bellezza dello scrivere un racconto è anche la possibilità di posizionare se stessi su binari simili e poter modificare i trascorsi dando la possibilità di vivere un’altra vita, il famoso what if.

Questo libro lo consiglio ad occhi chiusi. Lo stile elegante e delicato di Severino Cirillo rende Marea dentro un racconto che non sarà facile da dimenticare.

Autore: Severino Cirillo
Titolo dell’opera: Marea dentro
Numero di pagine: 171
Voto: 4/5
Dove trovarlo: libro, ebook

Auch wenn ich hoffe: il diario di Mosche Flinker

Come ben sappiamo, nella recente storia tedesca è presente una macchia indelebile dovuta ad una grande colpa di cui il popolo tedesco del primo Novecento si è macchiato in modo orrendo.

La Seconda Guerra Mondiale ha portato alla luce una Germania pervasa dall’odio, dall’antisemitismo e dalla cattiveria più pura e insensata che si ricordi. È vero, prima e dopo del genocidio nazista di cui ci si è macchiati (soprattutto) in Germania ci sono stati altri genocidi, altre persecuzioni, altre morti inspiegabili ed ingiustificabili. Ciò che rende, però, l’Olocausto così diverso e così terribile è la sistematicità con cui la morte veniva inflitta. Tutto quello che avveniva negli innumerevoli campi di concentramento e sterminio era frutto di calcolo, di decisioni prese a mente fredda, di statistiche. Niente era lasciato al caso. L’unica cosa lasciata al caso era la persona da eliminare: una valeva l’altra, finché si raggiungeva il numero di vittime prefissato per la giornata, poco importava chi effettivamente sarebbe morto.

Delle vittime sappiamo poco, pochissimo. Quasi niente è rimasto di loro: forse un nome, una data di nascita e una di arrivo presso uno dei campi… tante volte non sappiamo neanche l’effettiva data di morte. Della vita nei campi sappiamo, per fortuna, grazie alle testimonianze dei pochi sopravvissuti che col passare del tempo diventano anche sempre meno.

Ma perché questo discorso? Questo discorso perché oggi vorrei parlarvi di un libro, di un diario di una delle tante, troppe vittime di questa tragedia dell’essere umano. Il libro in questione è Auch wenn ich hoffe ed è il diario di un ragazzo di nome Mosche Flinker, nato a L’Aia il 9 ottobre 1926 e morto nel 1945 a Bergen Belsen.

La copertina del libro

La vita di Mosche era una vita come quella di tanti ragazzi dell’epoca ma non appena furono promulgate le leggi razziali, la sua esistenza mutò totalmente e Mosche, insieme alla sua famiglia, scappò dall’Olanda per rifugiarsi a Bruxelles, iniziando a nascondere la sua identità e non poté più condurre una vita normale.

Il suo diario, come quello più famoso di Anna Frank, ci descrive la vita che si trovano a dover affrontare persone del tutto normali che si ritrovano in una situazione completamente aberrante e insopportabile. A differenza del diario di Anna, però, dal diario di Mosche si evince tutta la sua rabbia verso i suoi aguzzini e tutto l’amore, sebbene messo a dura prova dalla tragicità degli eventi. Molto spesso, infatti, l’autore si interroga sul ruolo di Dio e sul senso della sofferenza che il Suo popolo si trova a dover affrontare.

Il diario va dal giorno 24 novembre 1942 (riportato anche con la data ebraica, 15 Kislev 5703) fino al 3 settembre 1943 (3 Elul 5703). Nel maggio del 1944 furono traditi, da un ebreo, che li denunciò alla Gestapo, condannandoli praticamente alla morte.

Dalle informazioni trovate online, sembra che sua madre sia stata mandata immediatamente alle camere a gas, un fratello morì ad Auschwitz, Mosche e il padre morirono di tifo a Bergen Belsen, mentre l’altro fratello e le sue sorelle scamparono miracolosamente alla morte ed emigrarono poi in Israele. Finita la guerra, infatti, furono proprio loro a ritrovare il diario nel piccolo appartamento di Bruxelles dove si era rifugiata la famiglia durante gli anni della persecuzione.

È un testo che consiglio di leggere, se avete voglia di approfondire il tema e se siete curiosi di leggere anche altre testimonianze, forse meno note, ma non per questo meno importanti di quella di Anna Frank.
Io ho letto il libro in tedesco, quasi per caso, e altrettanto per caso ho scoperto che la traduzione in italiano è pessima e dovrebbe addirittura contenere delle censure, rendendo la lingua del libro in un certo senso meno “violenta” (sempre che “violenta” sia la parola corretta).

Nell’epoca che stiamo vivendo è più importante che mai leggere ed informarsi a riguardo del male che è già esistito e che già è stato perpetrato. Solo la conoscenza di ciò che è stato e potrebbe di nuovo essere può spingerci a lottare per un mondo più giusto e per un mondo di pace. Perché non succeda mai più ciò che già è successo, per far sì che le vite di Mosche, di Anna, di tantissimi, troppi, altri, non siano finite invano.

Autore: Mosche Fliker
Titolo dell’opera: >> Auch wenn ich hoffe << Das Tagebuch des Mosche Flinker
Titolo originale dell’opera: Jomano sjel Mosjé Flinker
Numero di pagine: 167
Voto: 4/5
Dove trovarlo: cartaceo, ebook

La carne, il racconto di una violenza

Mi sono approcciata a questo libro con la convinzione che mi dovesse piacere, e che se non lo avessi apprezzato, in realtà non capisco molto. Ci sono alcuni libri o persone che ci fanno sentire così. Per quanto riguarda La carne di Emma Glass, il tema è così forte che una donna, non può non sentirsi coinvolta.

Copertina di La carne die Emma Glass
La copertina del libro di Emma Glass, La carne

La trama di La Carne

Peach è una pesca che ha subito uno stupro in un vicolo buio da parte di un uomo formato di salsicce unte, Lincoln. Tornata a casa ricuce da sola lo strappo in mezzo alle gambe causato dalla violenza, in modo che i genitori non si accorgano di nulla. Ma loro si accorgono a mala pena di Peach e del fratellino, che è una gelatina, perché presi dallo scambiarsi effusioni continue.

Green, il fidanzato albero di Peach, si rende conto che la ragazza è strana, ma lei non riesce ad aprirsi neanche con lui per raccontare quello che è successo. Dal giorno dopo si sente un bozzo sulla pancia e Green la accompagna ad acquistare il test di gravidanza, pur essendo sicuro che non ci sia pericolo di aver messo incinta Peach. Il test risulta negativo, ma la pancia della pesca cresce sempre di più.

A casa di Peach arrivano dei messaggi anonimi scritti con un collage di lettere dei titoli delle riviste. È Lincoln che le scrive quanto la ama. Lo stupratore salsiccia non si limita a questo, ma inizia a pedinare la ragazza, che lo vede appeso al lampadario fuori dalla finestra delle sua camera e davanti a alla vetrina di un bar dove si trova con Green.

Clicca qui per leggere gli spoiler sul finale

Lincoln lo stupratore, Lincoln lo stalker, Peach ci descrive anche Lincoln l’assassino, che uccide il suo amico e glielo fa trovare impiccato, a dimostrazione di cosa? Che lei è solo sua?
Non basta averla profanata e preso con la forza qualcosa che lei non voleva dargli, vuole fare terra bruciata attorno a lei. Infatti lei inizia a temere anche per la vita di Green

Ma Peach a questo non ci sta.
Decide di affrontare la paura e lo aspetta con un coltello in un vicolo buio. Gli salta addosso e mentre lei affonda la lama lui le urla che la ama. Emesso l’ultimo respiro, le salsicce di cui è composto Lincoln vengono raccolte in un sacco e portate a casa e cucinate durante un barbecue con i genitori e il fratellino di Peach, Green e altri amici.


Il libro finisce con l’espulsione del nocciolo che cresce dentro Peach, finalmente liberata del male che Lincoln le ha provocato. Se da questo nocciolo di pesca nasca un altro frutto non lo sappiamo, ma pare sia essere la liberazione della ragazza con l’uccisione di chi le ha fatto del male.



La carne merita un posto nella tua libreria?

Ho letto alcune recensioni sul libro di Emma Glass, in una veniva scritto che il tipo di scrittura usato è quasi poetico con parole cariche di suono, ma avendo letto Siddharta in tedesco, mi rendo ben conto che la scrittura di Hermann Hesse è pure poesia pur essendo prosa, non questo racconto. Una poesia moderna forse?

È stato avvicinato anche alla favola, sicuramente la protagonista de La carne che è una pesca, fidanzata con un albero, violentata da un uomo salsiccia e sorella di una gelatina, non fa pensare alla vita reale. Sicuramente in Lincoln e nelle sue parti di salsiccia si nasconde un allegoria, come nella pesca, entrambi i termini metafore degli organi genitali maschile e femminile. Allo stesso modo Green l’albero che è forte e sostegno di Peach.

Un’altra recensione più cinica ha sottolineato come si noti il fatto che questo racconto sia solo un esercizio di stile, un compito di scuola, che invece di venir ripreso dopo sette anni dall’inizio avrebbe dovuto venire cestinato. Infatti Emma Glass all’università ha studiato lettere e scrittura e iniziò già all’epoca a lavorare su La carne, che in inglese è intitolato Peach. Avendo capito che la carriera della scrittrice non sarebbe stata facile, la Glass ha ripreso a studiare infermieristica – professione che esercita – ma dopo sette anni ha ripreso in mano Peach per finirlo.

Quando il tema è più importante della resa

Come ho accennato all’inizio, è difficile non farsi coinvolgere dal tema trattato, e dire che un libro non piace in questi casi è quasi come dire che si rifiuta anche la tematica. Personalmente il fatto che la casa editrice Il Saggiatore abbia deciso di acquistare i diritti di La carne per farlo conoscere al pubblico italiano, mi ha portato a credere che il libro meritasse un posto nella mia libreria, perché mi fido della qualità dei prodotti pubblicati da questo editore.

Sicuramente i sentimenti che Peach descrive, la sua paura nel ritrovarsi di nuovo davanti Lincoln, l’orrore che prova quando scopre che lui sa dove lei vive, e la terribile persecuzione trovandosi dell’unto delle salsicce ovunque, scaturiscono in ognuno di noi empatia, e soprattutto in una donna. Ma questo non basta per farmi piacere il libro senza riserve, soprattutto perché non condivido il finale del racconto.

Per concludere, La carne di Emma Glass non mi ha convinto totalmente. Purtroppo ero più concentrata a capire cosa fossero i vari personaggi -pesca o gelatina – più che alla storia. Non metto in dubbio che sia una mia mancanza di attenzione del momento in cui ho letto il libro, al quale darò sicuramente una seconda lettura più avanti.

Autore: Emma Glass
Titolo dell’opera: La carne
Titolo originale dell’opera: Peach
Numero di pagine: 115
Voto: 2/5
Dove trovarlo: Libro, kindle

Piccolo viaggio nell’anima tedesca

Questo saggio è un piccolo tesoro per tutte le persone che studiano e amano il tedesco. Questa lingua è così ostica che per impararla veramente bisogna amarla sul serio. Famosa è la frase di Richard Porson La vita è troppo breve per imparare il tedesco“.

La si può leggere con due significati:
– il tedesco è troppo difficile per poterlo imparare in una sola vita;
– non sprecare la tua vita ad imparare una lingua come il tedesco.

Io amo il tedesco quindi per me questo libricino è un vero viaggio nell’anima tedesca perché questa lingua ha delle parole che in italiano non abbiamo e che vivendo qui e conoscendo il tedesco, quando parlo la mia lingua madre mi mancano.

Nel libro viene spiegato il significato di 15 parole che in italiano non hanno una diretta traduzione, ma possono essere tradotte con una frase. In aggiunta le autrici descrivono da dove derivano alcune di queste parole. L’esempio più lampante è Nestbeschmutzer, ossia essere che sporca il proprio nido, termine usato come appellativo di Marlene Dietrich, che durante la seconda guerra mondiale ha parteggiato per gli americani, e di Willy Brandt, che si inginocchiò nel ghetto di Varsavia per chiedere scusa per i crimini nazisti.

Weltanschauung

Weltanschauung è un termine e una concezione filosofica. Cercando nel dizionario si legge: “Concezione del mondo, della vita, e della posizione in esso occupata dall’uomo”, ma in realtà è molto di più, ha un significato per i tedeschi filosofi molto più profondo e onnicomprensivo.
Si trova nel nostro dizionario con la parola tedesca non tradotta perché il significato è così specifico che non è possibile tradurlo. Questo succede anche per altre termini, quello che mi viene in mente è Leitmotiv, motivo conduttore, utilizzato spesso in critica letteraria, e spesso pronunciato male.

Schadenfreude

Non esiste una vera e propria traduzione italiana, potremmo tradurre Schadenfreude con: gioire per le disgrazie altrui.
Sicuramente è un sentimento che chiunque nel mondo prova, ma solo i tedeschi hanno deciso di dargli un riconoscimento nel vocabolario.

Zweisamkeit

In tutti le società esiste la solitudine (Einsamkeit), in tedesco ci si può isolare in coppia, e quando succede lo si può indicare con la parola Zweisamkeit. Questa parola è infatti composta da Zwei, che significa due e da Einsamkeit, appunto solitudine.
Trovo che ci sia qualcosa di poetico nel solo concetto si isolarsi, ma di non essere solo in quell’isola, ma trovarsi lì con una persona, la quale è l’unica che si accetta nella propria solitudine.

Feierabend

Mai andare in un negozio tedesco quando si avvicina l’orario di chiusura, ossia la Feierabend. Composta dalla parola Feier, ossia festa, e Abend, che significa sera. Letteralmente sarebbe la festa della sera, quindi la gioia che si ha quando si chiude il negozio e si torna a casa dopo una giornata di lavoro.
La gioia nel ricevere e augurare il “Schönen Feierabend” quando si termina o si sta per terminare il lavoro è irripetibile in italiano. Nessuno ti dirà “Buon fine lavoro” o “Buon stacco”, noi ci limitiamo a dirci un pacato “A domani”, quasi come se la nostra vita sia solo un continuo lavoro, fine lavoro, ripresa lavoro. Invece dicendo “Buon dopo lavoro” questo presuppone che tu dopo aver faticato abbia un momento per te.

Mitläufer

Mitläufer potrebbe essere tradotto in italiano con connivente. Letteralmente significherebbe camminare assieme. Dalla Seconda Guerra Mondiale il Mitläufer è sembrato essere un personaggio tipicamente tedesco, quello che, finito il Reich, ha dichiarato di aver commesso crimini di guerra perché cos’altro avrebbero potuto fare in quell’occasione?
Stessa cosa successe durante la DDR, Repubblica Democratica Tedesca, quando molte persone “normali” divennero informatori del governo, solo per poter sopravvivere e avere una vita migliore, o almeno non subire problemi e vivere tranquilli.

Zeitgeist

Lo spirito del tempo è la migliore traduzione per Zeitgeist, questa parola è comunque un po’ difficile da descrivere. Potremmo pensare a questo spirito come ad un sentimento comune, di tutta la popolazione. La durata è di una generazione circa e in questo periodo, nel quale le generazioni si succedono velocissime, lo spirito cambia di continuo.
Se i figli di chi ha fatto la guerra guardavano i propri genitori con diffidenza, chiedendosi se non fossero stati anche loro autori dello sterminio, ora i nipoti degli allora nazisti, o presunti tali, non riescono a vedere nel sorriso del nonno gli orrori del passato.
Se non si riesce a pensare a questo personalmente, si è riusciti dopo 50 anni circa ad interiorizzarlo come colpa del popolo.

Autore: Vanna Vannuccini e Francesca Predazzi
Titolo dell’opera: Piccolo viaggio nell’anima tedesca
Numero di pagine: 135
Voto: 4/5
Dove trovarlo: libro

Noi, i ragazzi dello Zoo di Berlino

Noi, i ragazzi dello Zoo di Berlino è probabilmente uno dei libri più letti e famosi di tutti i tempi e sebbene non si tratti di un testo di alta letteratura, resta comunque un libro di grandissima importanza.

Wir Kinder vom Bahnhof Zoo tratta della storia di Christiane Vera Felscherinow, diventata poi famosa come Christiane F., della sua dipendenza dalle droghe, della sua caduta nella spirale di dipendenza, prostituzione e morte.

Christiane F.

La sua intervista rilasciata ai giornalisti Kai Hermann e Horst Rieck diventa un caso mediatico. Per la prima volta si parla apertamente del problema della droga, di ciò che comporta, di ciò che causa.
Christiane con le sue parole ci racconta della sua discesa verso gli inferi, iniziata con dell’hashish e dell’LSD per poi finire, a 14 anni, a bucarsi per la prima volta di eroina. Ci racconta senza mezzi termini, senza indorarci la pillola, della sua vita di ragazzina che a 14 anni inizia a prostituirsi per assicurarsi la prossima dose.
Ci racconta di uomini, adulti, che consapevoli dell’inferno personale di questi poco più che bambini, approfittano di loro acquistando (indirettamente) le dosi che li avvicineranno ogni giorno di più alla morte.
Christiane ci racconterà degli amici caduti per mano di questa terribile dipendenza, ci racconterà del suo amore tormentato e tormentoso con Detlef e ci racconterà dei suoi tentativi di disintossicazione falliti.

Ricordo di aver letto questo libro tutto d’un fiato, quando avevo 20 anni. Mi lasciava senza parole e con un senso di angoscia indicibile leggere di ciò che era stata parte dell’adolescenza di Christiane. Ricordo che leggendo quelle parole mi veniva quasi da essere grata per il mio essere sempre stata così lontana dal mondo delle dipendenze, sia per ingenuità che per paura.

La storia di Christiane si svolge soprattutto tra Gropiusstadt (sottoquartiere di Neukölln), dove si trova casa sua, e il quartiere di Tiergarten (dove si trova lo Zoologischer Garten).
Oggi, la stazione U-Bahn (metropolitana) di Gropiusstadt è stata rinominata Johannistahler Chaussee e il quartiere di Gropiusstadt rimodernizzato e, grazie a numerosi investimenti, la zona è stata resa più moderna e vivibile.

La copertina del libro

Dopo la pubblicazione dell’intervista sullo Stern, Christiane F. è diventata, suo malgrado, una star: negli anni successivi alla pubblicazione del libro, infatti, prende parte ad alcuni film e tenta anche la carriera musicale. QUI una sua performance con Alexander Hacke (nel video Alexander von Borsig) degli Einstürzende Neubauten (di cui sicuramente vi parlerò a breve in uno dei prossimi articoli).
Come è ben immaginabile, Christiane non è mai veramente uscita dalla sua dipendenza ma anzi, la sua fama e la sua conseguente disponibilità economica non hanno fatto altro che renderle più accessibili le sostanze stupefacenti, facendola ricadere più volte nel vertice della droga.

Trovo che Noi, i Ragazzi dello Zoo di Berlino dovrebbe essere una lettura consigliata nelle scuole perché sono sicura darebbe modo a molti di riflettere e, forse, di evitare di ritrovarsi in un mondo dal quale tragicamente troppo spesso non c’è via d’uscita se non con la morte.

Autore: Christiane F. (con Kai Hermann e Horst Rieck)
Titolo dell’opera: Noi, i Ragazzi dello Zoo di Berlino
Titolo originale dell’opera: Wir Kinder vom Bahnhof Zoo
Numero di pagine: 358
Voto: 4/5
Dove trovarlo: libro, audiolibro, film

Flatlandia, Racconto fantastico a più dimensioni

La lettura di questo libro non è stato per niente facile, devo ammetterlo. È un misto tra un saggio e un racconto di un mondo fantastico, il mondo delle figure geometriche che studiavamo a scuola. Immagina se uno di quei quadrati dei quali dovevi misurare il perimetro e la superficie avesse avuto una famiglia, un lavoro.

Flatlandia è il nome del mondo nel quale vive il suddetto quadrato. Ha una moglie, che è una linea, dei figli, che sono dei pentagoni, e dei nipotini, degli esagoni. I militari sono dei triangoli isosceli molto appuntiti, minore è il grado dell’angolo più stretto, minore spazio c’è per il cervello della figura e a questo corrisponde un minore grado nella società. Ai vertici più alti si trova l’aristocrazia, delle figure con 3000 o 4000, se non di più, angoli che ormai non sono più distinguibili da un cerchio, per questo vengono chiamati circoli.

Ad ogni modo tutti gli abitanti della Flatlandia sono composti di righe e vivono su un piano.

La copertina di Flatlandia

La vita nella Flatlandia

Il racconto fantastico a più dimensioni si divide in due parti. Nella prima l’avvocato quadrato descrive tutto il funzionamento della Flatlandia: i suoi abitanti, la loro vita e la composizione della società.

Vivendo su un unico piano, quando la popolazione si incontra, per potersi riconoscere nelle diverse forme di appartenenza, ha necessità di tastarsi per poter contare di quanti angoli è formata la persona incontrata. Il tastarsi non è accettato dalle gerarchie più alte, che hanno imparato a riconoscersi alla vista. Sebbene tutti dal punto di vista di una figura abitante della Flatlandia sembrino una linea (che è la figura rappresentativa della donna) con un occhio allenato si può riconoscere una diversa lucidità dove si trova l’angolo più vicino e di una sfumatura ai lati della linea intravista che dipende da quanti lati è composta la persona incrociata.

La necessità di capire subito con chi si ha a che fare si esplicita nella pericolosità dei triangoli isoscele, il cui angolo più appuntito, un cuneo, può uccidere istantaneamente una qualsiasi altra figura. Questi triangoli fanno infatti parte dell’esercito della Flatlandia.

Molto pericolose sono anche le donne che, composte solo da una linea, possono uccidere qualcuno facilmente con la loro forma ad ago. Tanto più che le donne sono esseri molto pericolosi perché riescono a nascondersi senza problemi e, essendo predominate dalla passione, non hanno autocontrollo. Si sono verificati casi nella Flatlandia di donne che hanno perso la testa e in un raptus hanno ucciso tutta la loro famiglia, accorgendosi solo successivamente del loro gesto.

In questa società solo le figure regolari, ossia con tutti gli angoli delle stesse dimensioni, hanno diritto ad una vita normale, con un lavoro normale. Come gli antichi Spartani, quando in una famiglia Spartiaca nasceva un bambino con qualche malformazione veniva ucciso perché non avrebbe mai potuto combattere, nella Flatlandia chi nasce con un lato irregolare non sopravvive a lungo, perché ucciso. Gli unici che vengono lasciati in vita sono appunto i triangoli isoscele, che, se molto appuntiti, faranno parte dell’esercito perché nell’angolo più acuminato è presente il cervello, e loro hanno così poco spazio che potrebbero fare solo quello, e anzi il non possederne uno aiuta nel combattimento. Gli isoscele con un angolo più ampio diventano invece servitori e difficilmente potranno evolversi in altre figure e diventare parte delle élite maggiori.

Interessante è anche come un triangolo equilatero possa avere figli quadrati e un quadrato riesca ad innalzare la propria stirpe con un pentagono e via dicendo. Ad ogni generazione aumenta un lato se si è buoni cittadini. Le uniche che non cambiano forma sono le donne, che sono e rimarranno per sempre delle linee e considerate il sesso debole della società, ma anche quelle dalle quali bisogna stare attente.

Il viaggio nelle altre dimensioni

Il viaggio nella Linelandia

Nella seconda parte del libro il quadrato compie due viaggi. Uno nel mondo della linea, governato da un monarca e abitato da linee e punti, questi ultimi sono rappresentativi delle donne.

Gli abitanti di questo mondo non si incontrano mai, ma comunque ogni uomo ha due mogli che sposa e ingravida attraverso una canzone. Per tutta la vita vanno avanti e in dietro in un unico binario sulla stessa linea. Questo è il loro mondo, l’unico che conoscono e il monarca crede che questo sia l’unico spazio esistente.

L’arrivo del quadrato scombussola credenze del monarca della Linelandia, che infastidito da tutte le strambe domande del quadrato rivendica il suo posto nel mondo. Quando questo diventa troppo aggressivo il protagonista fa ritorno al suo piano.

Il viaggio nella Spacelandia

A scombussolare l’esistenza del quadrato è invece l’arrivo della sfera, abitante della Spacelandia, sulla Flatlandia. Questa innalza il protagonista verso l’alto mostrandogli tutto il piano che è il suo mondo, quindi l’interno delle case, ma anche l’interno delle varie figure.

La sfera gli rivela tutto questo perché è il Capodanno di un nuovo millennio e gli è permesso rivelare la presenza dei vari piani solo una volta ogni mille anni. In questo viaggio esplorativo della Flatlandia vedono il consiglio in seduta, durante il quale si scopre che i circoli sono a conoscenza della terza dimensione.

La sfera porta il quadrato anche nella vera Spacelandia e gli fa conoscere le altre figure in tre dimensioni, come il cubo che è il suo equivalente in 3D. Questa scoperta lo porta a riflettere sull’idea che se esiste una terza dimensione, forse ne esiste pure una quarta, quella del pensiero.

Se di questa dimensione immaginifica non si può essere sicuri, esistono le prove di un’ulteriore dimensione: la Pointlandia, un mondo formato da un solo punto che si crede il centro del mondo e se lo ripete in continuazione. Questo fa capire al quadrato che tutto è relativo.

Non essendo un romanzo abituale non so se consigliarlo a tutti. Ti consiglio di prendere in mano questo libro solo con la consapevolezza giusta e la voglia di immergerti in un mondo fantastico.

Autore: Edwin A. Abbott
Titolo dell’opera: Flatlandia, Racconto fantastico a più dimensioni
Titolo originale dell’opera: Flatland, A Romance of Many Dimension
Numero di pagine: 151
Voto: 3/5
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