Categoria: Autobiografia

L’esile filo della memoria, ovvero il ritorno a casa delle prigioniere di Ravensbrück

Voglio iniziare questa recensione ammettendo subito la mia ignoranza: non conoscevo assolutamente l’autrice, non sapevo dell’esistenza di questo libro, né della sua storia. Il che è strano, in un certo sento, perché il tema di cui andremo a parlare questa volta, è un tema che mi sta molto a cuore ed è un tema sul quale cerco di essere il più informata possibile e di cui cerco di leggere quanto più mi capita.

Forse è anche il motivo per cui, non appena ho sentito parlare di questo testo, ho voluto leggerlo.

L’esile filo della memoria. Ravensbrück, 1945: un drammatico ritorno alla libertà è il racconto di una prigionia, è il racconto di una liberazione, è il racconto di quanto sia difficile essere presi sul serio anche davanti alle tragedie più grandi, quanto sia difficile vedere considerato il proprio dolore.

Lidia Beccaria Rolfi è una giovanissima donna di Mondovì, provincia di Cuneo, che ad appena 18 anni entrò a far parte della Resistenza, come Staffetta Partigiana e, a causa di questo, nell’aprile del 1944, ad appena 19 anni, venne arrestata e deportata nel Lager femminile di Ravensbrück.

Copertina dell’opera

Qui inizia la sua prigionia, fatta di privazioni, di fame, di paure, di orrori, di maltrattamenti e quanto più di brutto possa venirci in mente.

Resta prigioniera nel campo di Ravensbrück per più di un anno fino alla liberazione del campo, dove si era ritrovata a fare i lavori più disparati e si era ritrovata, da un certo punto in poi, anche a lavorare per la Siemens.

Il testo non si concentra tanto sui trascorsi nel campo, i cui racconti fanno sempre e comunque capolino durante tutta la lettura – ovviamente -, quanto su quanto successo dal momento della liberazione, dalla marcia di evacuazione organizzata dalle SS, dal trovare sul suo cammino un soldato italiano che sentendo la sua lingua si era subito interessato a quelle sue compatriote. Il testo racconta del suo ritrovarsi in altri Lager, questa volta da donna libera, in attesa di essere rimpatriata in Italia, di quanto la prigionia, l’esperienza di prigionia delle donne e delle donne prigioniere politiche, non fosse considerata alla pari di quella degli altri e, soprattutto, quella degli uomini.

Lidia Beccaria ci racconta del suo ritorno in Italia, dove sperava di essere accolta con calore, sperava di essere accolta da persone che volessero ascoltare la sua storia, partecipare al suo dolore per aver subito tanto male e alla sua felicità di essere tornata… ma si trova davanti come un muro, un muro di persone che quasi negano quello che le è successo, persone che non hanno neanche interesse ad ascoltare la sua storia.

Non tutti reagiscono in questo modo, nel suo racconto Lidia Beccaria ce lo sottolinea, ma la maggior parte delle persone semplicemente sembra non avere tempo né intenzione di ascoltare ciò che ha da raccontare e, le poche volte che lo fa, semplicemente non credono a ciò che sentono.

Lidia Beccaria, però, è una donna dalla grande forza, forse molto più grande di quello che potremo mai comprendere, e riprende immediatamente in mano la sua vita e, grazie ad un concorso riservato agli ex deportati – comunque oltraggiata dagli ex fascisti che erano rimasti al potere semplicemente cambiando bandiera ma non ideali –  ricomincia ad insegnare e a lottare contro ogni forma di Negazionismo di quello che è accaduto.

La seconda parte del libro, invece, riporta alcuni degli scritti e dei disegni presenti nei diari che Lidia Beccaria, tra mille peripezie, era riuscita a tenere durante la sua prigionia. Fa molto effetto leggere quelle righe e vedere quei disegni, fatti per non dimenticare casa… È incredibile e molto intenso a livello emotivo fermarsi ad immaginare (non riuscendoci) cosa volesse dire tenere un diario in quelle circostanze, cosa si rischiava, quale livello di disperazione si poteva provare nello stare lì.

L’Esile Filo della Memoria è un interessantissimo documento che prova a farci comprendere che la sofferenza non finiva lasciando il campo, i maltrattamenti non finivano con la liberazione, la lotta per affermare i propri diritti e la propria libertà non terminava tornando a casa, ma si trasformava e, in un certo senso, diventava altrettanto incredibile e dolorosa.

Autore: Lidia Beccaria Rolfi
Titolo dell’opera: L’Esile Filo della Memoria: Ravensbrück 1945
Titolo originale dell’opera: come sopra
Numero di pagine: 233 (per il formato Kindle)
Voto: 3/5
Dove trovarlo:

Fuga dal campo 14, la storia di Shin Dong-hyuk

Quest’ultimo periodo ho trovato dei documentari sulla Nord Corea, tema che mi ha sempre affascinato molto da quando ne sono venuta a conoscenza, di cui purtroppo ho letto solo un libro: Fuga dal campo 14.

La Nord Corea la definirei un mistero reale, uno Stato vero e proprio che si trova sullo stesso pianeta nel quale viviamo anche noi, ma che non ha nulla a che vedere con quello di cui siamo a conoscenza. Una Nazione anacronistica, bloccata nel tempo e guidata da due persone decedute.

La storia di Shin Dong-hyuk e la sua fuga dal campo 14

Shin Dong-hyuk è nato in un campo per prigionieri politici in Nord Corea. I suoi genitori si sono conosciuti dentro e si trovano in questo luogo per delitti compiuti da lontani parenti. La dinastia Kim ha creato questo governo del terrore nel quale, se una persona della tua famiglia è contro il Leader, allora tutta la famiglia e anche gli eredi che non sono ancora nati saranno obbligati a scontare la vita in punizione nel campo di concentramento a patire la fame.

Proprio in uno di questi campi è nato e cresciuto Shin. Non è mai uscito da qui e non sa cosa c’è oltre la rete che delimita il campo 14. La sua è una vita nella quale il cibo scarseggia, viene continuamente malmenato dai maestri del campo, va a scuola, ma in realtà non impara nulla di utile, solo le regole del campo:

  1. Non provare a scappare
  2. È vietato formare gruppi di più di due prigionieri
  3. Non rubare
  4. Agli ordini delle guardie bisogna obbedire incondizionatamente
  5. Chiunque avvisti un fuggitivo o una figura sospetta è tenuto a denunciarlo immediatamente
  6. I prigionieri devono tenersi sotto controllo a vicenda e denunciare immediatamente qualsiasi comportamento sospetto
  7. Ogni prigioniero deve portare a termine tutto il lavoro che gli viene assegnato quotidianamente
  8. Fuori dal luogo di lavoro non è ammessa interazione tra persone di sesso diverso per motivi personali
  9. I prigionieri devono pentirsi sinceramente dei propri errori
  10. I prigionieri che violano le regole e i regolamenti del campo verranno fucilati all’istante

Praticamente la legge suprema di questo campo è Mors tua vita mea. Quando Shin fugge dal campo 14 infatti sa perfettamente che sua madre e suo fratello verranno uccisi, non appena le guardie si accorgeranno della sua assenza.

Shin decide di scappare in seguito ai racconti di un prigioniero venuto dall’esterno che gli racconta del cibo che c’è al di fuori del campo, e lui, affamato da quando è nato, decide che è ora di riempirsi la pancia per bene.

Quando riesce a fuggire, raggiunge la Cina e si rifugia all’ambasciata Sud Coreana, dove finalmente viene ospitato. Ora Shin vive tra la Sud Corea e gli Stati Uniti e fa di tutto per raccontare quello che succede veramente in Nord Corea.

Informazioni sulla Nord Corea

Questo è solo il primo libro che ho letto anni fa sulla Nord Corea, ma vorrei informarmi più che posso, possibilmente senza visitarla.

Ho nella mia wishlist, già due libri di persone occidentali che hanno vissuto per lungo tempo lì e che, meglio di chi la racconta avendola solo visitata per pochi giorni, potrà offrirmi un quadro più completo. Non che non mi interessino le informazioni di chi è stato in Nord Corea anche solo pochi giorni. Infatti appena trovo un video su Youtube o stories su Instagram di persone che hanno potuto vedere questo Stato e le sue persone dall’interno, blocco tutto quello che stavo facendo e lo guardo, curiosa come un riccio.

Da queste persone ho appreso che appena si arriva in a Pyongyang si viene scortati da almeno due guide del posto e un autista, che ti faranno vedere solo quello che vogliono loro. Non potrai parlare con persone del luogo e fare loro domande. I quesiti che hai in testa verranno colmati solo dalle tue ombre-guide e sempre risponderanno cose positive e ringrazieranno il caro leader.

Mai potrai andare in giro da solo, non potrai uscire dall’hotel se non in compagnia delle tue ombre.

Dopo la Fuga dal campo 14

È stato molto interessante leggere di come si comportano i nordcoreani che riescono ad uscire dalla loro Patria. Sono per lo più persone apatiche, che difficilmente riescono ad integrarsi nella società. Non sanno svolgere praticamente nessun lavoro e non sono abituati a pensare con la propria testa, perché abituati ad essere governati in ogni aspetto della loro vita. Non dimentichiamoci che non possono scegliere liberamente neppure il taglio di capelli da portare.

Interessanti sono anche gli studi della società. I nordcoreani, a paragone con i sudcoreani, sono più piccoli di statura. Questo avviene a causa della scarsità di cibo, di tutta la Nazione, non solo quella dei campi di concentramento.

Sono racconti come questi che ti fanno ringraziare di essere nato dalla parte giusta e che ti ricordano che tutto è solo un caso.

Autore: Blaine Harden
Titolo dell’opera: Fuga dal campo 14
Titolo originale dell’opera: Escape from Camp 14
Numero di pagine: 298
Voto: 4/5
Dove trovarlo: cartaceo, ebook.

Becoming, la storia di Michelle Obama

In questo 2020 dominato, comprensibilmente, dalle notizie sul Covid-19, nelle ultime settimane un altro argomento ha, soprattutto per alcuni giorni, cercato di farla da padrone.

Le votazioni e conseguenti elezioni del quarantaseiesimo Presidente degli Stati Uniti d’America. Come tutti sappiamo, la partita si è giocata tra il candidato del Partito Repubblicano Donald Trump e quello del Partito Democratico Joe Biden (già ex Vicepresidente della presidenza Obama).

La politica è da sempre un argomento che mi interessa molto. Non sono una massima esperta, certo, ma cerco di tenermi informata, cercando di non rimanere all’oscuro di ciò che succede nel mondo. Questa elezione, poi, ha assunto non solo per me, ma per tutti noi, un’importanza elevatissima… E a chi dice che le elezioni in USA siano qualcosa che non ci tocca, beh, direi di pensarci meglio e rendersi conto che tutto ciò che avviene (o non avviene) negli USA ha un impatto totale su tutto il resto del mondo.

Bene, presa dalle notizie e dallo sconforto iniziale di una possibile rielezione di Donald Trump, mi sono resa conto di sentire la mancanza (!) dei modi e della civiltà di una delle first family più amate della storia americana: gli Obama. E mi è tornato in mente il fatto che già da un po’ avessi intenzione di leggere la biografia di Michelle Obama, Becoming, La mia Storia.

La copertina del libro

Quest’autobiografia parte da lontano, dal South Side di Chicago, dove il 17 gennaio 1964 nasce Michelle, figlia di genitori della classe operaia, Fraser e Marian Robinson, e sorella minore di Craig.

Michelle ci parla della sua infanzia, del suo essere una bambina impertinente, che non le manda a dire, e di grandi ambizioni, seppur costantemente dubbiosa di essere a tal punto brava da meritare più degli altri e sempre convinta di non doversi mai concedere nulla per paura di perdere il suo obiettivo. Ci parla delle sue scuole, di quanto le differenze razziali fossero reali e pesanti, di quante volte sia durante i suoi studi (Michelle Obama è laureata a Princeton e successivamente specializzata alla Harvard Law School – due tra gli istituti più prestigiosi del mondo) che durante il suo lavoro, si sia trovata ad essere l’unica donna, e l’unica persona afroamericana in una stanza gremita di uomini bianchi.

Veniamo a sapere di quando, mentre lei lavorava per la società Sidley Austin, incontra un giovane e promettentissimo avvocato da tutti considerato un fenomeno e che aveva un nome stranissimo, un certo Barack Obama. Di come lei all’inizio non avesse alcuna intenzione di legarsi sentimentalmente a qualcuno perché intenzionata prima di tutto a realizzarsi professionalmente, per poi trovarsi travolta dai sentimenti per questo ragazzo dalla grande mente e dai modi gentili. Leggiamo della loro voglia di diventare genitori, ma delle difficoltà a rimanere incinta, tanto da spingere la coppia a tentare, poi con successo, la fecondazione in vitro.

Vorrei soffermarmi su questo episodio che nel libro viene raccontato con tutta la semplicità di questo mondo per sottolineare, davvero, la caratura e l’importanza di questo libro. Una first lady (non importa che il memoir sia stato pubblicato dopo la fine del doppio mandato Obama) che si apre al mondo raccontando della sua esperienza con la fecondazione assistita, grazie alla quale è riuscita a diventare madre due volte, ha secondo me un’importanza incredibile e spezza un tabù che molte donne (e uomini) si trovano a dover affrontare e per il quale, spesso, provano un’ingiusta vergogna.

Malia Obama, Sasha Obama, Barack Obama e Michelle Obama
(Photo by Theo Wargo/WireImage)

Michelle fa un racconto intimo e aperto in merito alla sua vita, al suo matrimonio, alle difficoltà di dover far fronte agli impegni di una madre in carriera, che sente fortemente la vocazione materna ma allo stesso modo sente il bisogno di affermarsi lavorativamente e di quanto sia difficile doversi fare carico di tutto, avendo un marito così impegnato e, di conseguenza spesso assente. Ci dice di quanto odiasse la politica perché toglieva così tanto tempo alla sua vita di coppia e di quanto fosse in disaccordo col marito quando egli le palesò l’intenzione di candidarsi alla Presidenza degli Stati Uniti. L’accordo era “se vinci, bene, se perdi, chiudi definitivamente con la politica”. Il resto è storia.

È stato molto interessante leggere della vita della first family, avendo accesso all’interno di essa. È stato interessante anche vedere come le cose più semplici, cose alle quali noi comuni mortali non faremmo neanche caso, possano diventare difficili se non impossibili. Come anche uscire sul balcone a bere una bibita fresca ha bisogno di organizzazione e non può essere fatto a cuor leggero.

Ho sempre ammirato gli Obama. Dopo aver letto questo libro forse li ammiro un po’ di più, perché mi ha aiutato a rendermi conto ancora di più degli oneri (e non solo degli onori) di un incarico così importante e difficile e fa capire, ancora una volta, che con l’impegno, il duro lavoro e la costanza, nessun traguardo è impossibile.

In un mondo profondamente razzista e misogino, due persone afroamericane provenienti da famiglie modeste, sono arrivati in cima al mondo, solo grazie alle loro capacità, alla loro costanza, al loro impegno. La presidenza degli Obama ha significato tantissimo, sotto una moltitudine di punti di vista. Michelle ce lo ricorda e ricorda ad ognuno di noi (soprattutto alle donne e alle minoranze) che noi e solo noi siamo fautori del nostro destino.

Leggete la storia di Michelle Robinson, poi diventata Obama, sarà illuminante.

Autore: Michelle Obama
Titolo dell’opera: Becoming. La mia Storia.
Titolo originale dell’opera: Becoming
Numero di pagine: 528
Voto: 5/5
Dove trovarlo: cartaceo, e-book, documentario Netflix

Auch wenn ich hoffe: il diario di Mosche Flinker

Come ben sappiamo, nella recente storia tedesca è presente una macchia indelebile dovuta ad una grande colpa di cui il popolo tedesco del primo Novecento si è macchiato in modo orrendo.

La Seconda Guerra Mondiale ha portato alla luce una Germania pervasa dall’odio, dall’antisemitismo e dalla cattiveria più pura e insensata che si ricordi. È vero, prima e dopo del genocidio nazista di cui ci si è macchiati (soprattutto) in Germania ci sono stati altri genocidi, altre persecuzioni, altre morti inspiegabili ed ingiustificabili. Ciò che rende, però, l’Olocausto così diverso e così terribile è la sistematicità con cui la morte veniva inflitta. Tutto quello che avveniva negli innumerevoli campi di concentramento e sterminio era frutto di calcolo, di decisioni prese a mente fredda, di statistiche. Niente era lasciato al caso. L’unica cosa lasciata al caso era la persona da eliminare: una valeva l’altra, finché si raggiungeva il numero di vittime prefissato per la giornata, poco importava chi effettivamente sarebbe morto.

Delle vittime sappiamo poco, pochissimo. Quasi niente è rimasto di loro: forse un nome, una data di nascita e una di arrivo presso uno dei campi… tante volte non sappiamo neanche l’effettiva data di morte. Della vita nei campi sappiamo, per fortuna, grazie alle testimonianze dei pochi sopravvissuti che col passare del tempo diventano anche sempre meno.

Ma perché questo discorso? Questo discorso perché oggi vorrei parlarvi di un libro, di un diario di una delle tante, troppe vittime di questa tragedia dell’essere umano. Il libro in questione è Auch wenn ich hoffe ed è il diario di un ragazzo di nome Mosche Flinker, nato a L’Aia il 9 ottobre 1926 e morto nel 1945 a Bergen Belsen.

La copertina del libro

La vita di Mosche era una vita come quella di tanti ragazzi dell’epoca ma non appena furono promulgate le leggi razziali, la sua esistenza mutò totalmente e Mosche, insieme alla sua famiglia, scappò dall’Olanda per rifugiarsi a Bruxelles, iniziando a nascondere la sua identità e non poté più condurre una vita normale.

Il suo diario, come quello più famoso di Anna Frank, ci descrive la vita che si trovano a dover affrontare persone del tutto normali che si ritrovano in una situazione completamente aberrante e insopportabile. A differenza del diario di Anna, però, dal diario di Mosche si evince tutta la sua rabbia verso i suoi aguzzini e tutto l’amore, sebbene messo a dura prova dalla tragicità degli eventi. Molto spesso, infatti, l’autore si interroga sul ruolo di Dio e sul senso della sofferenza che il Suo popolo si trova a dover affrontare.

Il diario va dal giorno 24 novembre 1942 (riportato anche con la data ebraica, 15 Kislev 5703) fino al 3 settembre 1943 (3 Elul 5703). Nel maggio del 1944 furono traditi, da un ebreo, che li denunciò alla Gestapo, condannandoli praticamente alla morte.

Dalle informazioni trovate online, sembra che sua madre sia stata mandata immediatamente alle camere a gas, un fratello morì ad Auschwitz, Mosche e il padre morirono di tifo a Bergen Belsen, mentre l’altro fratello e le sue sorelle scamparono miracolosamente alla morte ed emigrarono poi in Israele. Finita la guerra, infatti, furono proprio loro a ritrovare il diario nel piccolo appartamento di Bruxelles dove si era rifugiata la famiglia durante gli anni della persecuzione.

È un testo che consiglio di leggere, se avete voglia di approfondire il tema e se siete curiosi di leggere anche altre testimonianze, forse meno note, ma non per questo meno importanti di quella di Anna Frank.
Io ho letto il libro in tedesco, quasi per caso, e altrettanto per caso ho scoperto che la traduzione in italiano è pessima e dovrebbe addirittura contenere delle censure, rendendo la lingua del libro in un certo senso meno “violenta” (sempre che “violenta” sia la parola corretta).

Nell’epoca che stiamo vivendo è più importante che mai leggere ed informarsi a riguardo del male che è già esistito e che già è stato perpetrato. Solo la conoscenza di ciò che è stato e potrebbe di nuovo essere può spingerci a lottare per un mondo più giusto e per un mondo di pace. Perché non succeda mai più ciò che già è successo, per far sì che le vite di Mosche, di Anna, di tantissimi, troppi, altri, non siano finite invano.

Autore: Mosche Fliker
Titolo dell’opera: >> Auch wenn ich hoffe << Das Tagebuch des Mosche Flinker
Titolo originale dell’opera: Jomano sjel Mosjé Flinker
Numero di pagine: 167
Voto: 4/5
Dove trovarlo: cartaceo, ebook

Noi, i ragazzi dello Zoo di Berlino

Noi, i ragazzi dello Zoo di Berlino è probabilmente uno dei libri più letti e famosi di tutti i tempi e sebbene non si tratti di un testo di alta letteratura, resta comunque un libro di grandissima importanza.

Wir Kinder vom Bahnhof Zoo tratta della storia di Christiane Vera Felscherinow, diventata poi famosa come Christiane F., della sua dipendenza dalle droghe, della sua caduta nella spirale di dipendenza, prostituzione e morte.

Christiane F.

La sua intervista rilasciata ai giornalisti Kai Hermann e Horst Rieck diventa un caso mediatico. Per la prima volta si parla apertamente del problema della droga, di ciò che comporta, di ciò che causa.
Christiane con le sue parole ci racconta della sua discesa verso gli inferi, iniziata con dell’hashish e dell’LSD per poi finire, a 14 anni, a bucarsi per la prima volta di eroina. Ci racconta senza mezzi termini, senza indorarci la pillola, della sua vita di ragazzina che a 14 anni inizia a prostituirsi per assicurarsi la prossima dose.
Ci racconta di uomini, adulti, che consapevoli dell’inferno personale di questi poco più che bambini, approfittano di loro acquistando (indirettamente) le dosi che li avvicineranno ogni giorno di più alla morte.
Christiane ci racconterà degli amici caduti per mano di questa terribile dipendenza, ci racconterà del suo amore tormentato e tormentoso con Detlef e ci racconterà dei suoi tentativi di disintossicazione falliti.

Ricordo di aver letto questo libro tutto d’un fiato, quando avevo 20 anni. Mi lasciava senza parole e con un senso di angoscia indicibile leggere di ciò che era stata parte dell’adolescenza di Christiane. Ricordo che leggendo quelle parole mi veniva quasi da essere grata per il mio essere sempre stata così lontana dal mondo delle dipendenze, sia per ingenuità che per paura.

La storia di Christiane si svolge soprattutto tra Gropiusstadt (sottoquartiere di Neukölln), dove si trova casa sua, e il quartiere di Tiergarten (dove si trova lo Zoologischer Garten).
Oggi, la stazione U-Bahn (metropolitana) di Gropiusstadt è stata rinominata Johannistahler Chaussee e il quartiere di Gropiusstadt rimodernizzato e, grazie a numerosi investimenti, la zona è stata resa più moderna e vivibile.

La copertina del libro

Dopo la pubblicazione dell’intervista sullo Stern, Christiane F. è diventata, suo malgrado, una star: negli anni successivi alla pubblicazione del libro, infatti, prende parte ad alcuni film e tenta anche la carriera musicale. QUI una sua performance con Alexander Hacke (nel video Alexander von Borsig) degli Einstürzende Neubauten (di cui sicuramente vi parlerò a breve in uno dei prossimi articoli).
Come è ben immaginabile, Christiane non è mai veramente uscita dalla sua dipendenza ma anzi, la sua fama e la sua conseguente disponibilità economica non hanno fatto altro che renderle più accessibili le sostanze stupefacenti, facendola ricadere più volte nel vertice della droga.

Trovo che Noi, i Ragazzi dello Zoo di Berlino dovrebbe essere una lettura consigliata nelle scuole perché sono sicura darebbe modo a molti di riflettere e, forse, di evitare di ritrovarsi in un mondo dal quale tragicamente troppo spesso non c’è via d’uscita se non con la morte.

Autore: Christiane F. (con Kai Hermann e Horst Rieck)
Titolo dell’opera: Noi, i Ragazzi dello Zoo di Berlino
Titolo originale dell’opera: Wir Kinder vom Bahnhof Zoo
Numero di pagine: 358
Voto: 4/5
Dove trovarlo: libro, audiolibro, film

Der Tastenficker – L’autobiografia di un rocker coi piedi per terra

Come mi è già capitato di raccontare in post precedenti, la mia più grande passione è la musica.

La musica per me è una fedele amica che mi accompagna da sempre, dalla mia più tenera età. È un’amica che fa da sottofondo ai miei sogni e alle mie speranze ed è un’amica che ha avuto un impatto così forte su di me, che è riuscita ad influenzare anche alcune mie scelte di vita che, apparentemente, non hanno nulla a che fare con ciò che ascolto.

Eppure… Da giovanissima liceale, annoiata e malinconica, mi rifugiavo sempre nell’ascolto di qualche disco che riuscisse a dare anche a me, che all’epoca ero più timida di adesso, la sensazione di poter spaccare il mondo e ribellarmi, appunto, alla noia di un’adolescenza trascorsa in un paesino di 3000 anime.

Cercando, quindi, qualcosa che potesse far sfogare le mie giovani frustrazioni, mi ritrovai a fare la conoscenza dei Rammstein.
I Rammstein suonavano un irresistibile industrial metal e cantavano in tedesco… cosa poteva esserci di meglio per me, già allora innamorata di questa lingua croce e delizia di molti di noi?

Mi appassionai, tantissimo, ritagliavo articoli di giornale, collezionavo i loro dischi. Da buona fangirl sognavo di poter leggere le loro biografie e poter entrare ancora di più nel loro mondo.

Il 22 marzo 2016 il Dio della musica ascolta le mie preghiere ed ecco che nelle librerie esce Der Tastenficker: An was ich mich erinnern kann autobiografia di Christian “Flake” Lorenz, tastierista della band.

Flake nel 2018

Attenzione però: Questo libro non parla dei Rammstein, non parla di come sono nati e non svela nessun segreto riguardo alla band tedesca con (probabilmente) più successo della storia (che ci piaccia o no…).
Il libro è una raccolta di ricordi, che iniziano dalla sua infanzia nel quartiere di Prenzlauer Berg, all’epoca profonda Germania Est e che oggi, invece, si è trasformato in uno dei quartieri più in e costosi della città.
Nel libro, scritto in un tedesco molto accessibile a coloro i quali abbiano un po’ di dimistichezza con la lingua, ci mostra il lato umano del musicista e ci mostra un uomo semplice, un uomo coi piedi per terra, ironico e autoironico che, come tutti noi, combatte contro le difficoltà giornaliere che lui stesso si crea.

Questo libro di Flake è stato una lettura, per me, meravigliosa. La scoperta di una persona dall’animo profondamente gentile e per niente cambiata dal successo. Come un vecchio amico che rivedi dopo tanto tempo e col quale hai una smodata voglia di andare in una Kneipe a bere una (o più) birra.

La copertina dell’opera

Il testo si trova, purtroppo, solo in tedesco e questo è un vero peccato perché so che molti fan italiani dei Rammstein acquisterebbero subito il libro per poter leggere un po’ delle (dis)avventure di Flake che, dei 6 Rammstein, è sicuramente quello con cui mi piacerebbe essere amica!

Il titolo è l’unione di Tasten -> tasti e Ficker -> co***ne.
A te l’arduo compito di trovare una traduzione in italiano che faccia giustizia al gioco di parole in tedesco!

Autore: Christian “Flake” Lorenz
Titolo dell’opera: Der Tastenficker: An was ich mich erinnern kann
Titolo originale dell’opera: come sopra
Numero di pagine: 392
Voto: 5/5
Dove trovarlo: Amazon; audiobook