La biblioteca delle ultime possibilità, necessarie?

Ultimamente sto ascoltando molti audiolibri, è più semplice chiaramente. Quando sono nei mezzi non sono obbligata a tenere un libro in mano e sfogliarlo per poter andare avanti nella mia lettura, ma soprattutto posso continuare la storia anche se cammino. Non ho problemi nel leggere camminando, ma non è una cosa che posso fare sempre, ecco possiamo dire così.

Quindi ascoltare una voce che legge il libro per te, se la voce è accogliente, è veramente piacevole e in poco tempo si riesce a fare il pieno di storie, che con la propria lettura non è possibile, soprattutto per una come me, che legge lentamente.

Una delle ultime “letture” è stato il libro La biblioteca delle ultime possibilità. Avevo visto la copertina in libreria a Cagliari a maggio, e mi aveva intrigato. Se si parla di libri allora è un romanzo che fa per me! La forma del volume è particolare, e avrei voluto facesse parte della mia libreria, mi piace fare la raccolta delle varie forme che un libro può avere.

Non so bene cosa mi avesse fermata dall’acquistarlo, forse perché avevo già acquistato 10 libri in due mesi, o forse la copertina era troppo rosa, oppure il ricordo delle storie non ancora lette in attesa di essere esplorate dai miei occhi. Fatto sta che non l’ho acquistato e qui dico: per fortuna!

Quando ho trovato La biblioteca delle ultime possibilità tra le storie che avrei potuto ascoltare l’ho subito messo tra i preferiti e appena è arrivato il suo turno ho premuto play e mi sono affacciata sul suo mondo.

La trama de La biblioteca delle ultime possibilità

June vive in un piccolo paesino dell’Inghilterra ed è assistente bibliotecaria, lavoro che fu di sua madre, finché non è morta di cancro. June è una ragazza molto semplice, e qui termina non fu più giusto: vive nella casa dove ha sempre vissuto con la madre, della quale non ha buttato i libri, i vestiti e i soprammobili. La ragazza condivide la casa con il gatto di sua madre, Alan Bennet, che la odia. Non le fa compagnia e la guarda costantemente di sottecchi.

La sua vita si dispiega tra la biblioteca nella quale lavora, il ristorante cinese nel quale tutti i lunedì acquista lo stesso pasto da sempre, e casa sua nella quale legge.

Un giorno al ristorante cinese trova alla cassa un suo vecchio compagno di classe, Alex Chen diventato avvocato a Londra, che si trova lì per aiutare il padre che ha avuto in incidente nel lavoro. Iniziano a parlare di libri e lei ogni settimana gli consiglia romanzi, visto che che ha solo cultura horror.

La sua vita si movimenta quando giunge la notizia che il consiglio di contea vuole chiudere sei biblioteche, tra cui la sua. Lei e alcuni ospiti abituali della biblioteca (Stanley, Chantal, Mrs B e Vera) si danno da fare per mettersi contro questa decisione e tenere aperto il loro luogo di ritrovo, perché la biblioteca non è solo un posto dove si possono prendere dei libri in prestito, ma è un posto dove:
Chantal può trovare un po’ di pace dalla sua numerosa famiglia e poter studiare,
Stanley lo vede come una seconda casa, visto che la sua non ha acqua corrente né elettricità,
– gli stranieri vengono aiutati da June nella burocrazia.

Ognuno ha un motivo che esula dai libri per trovarsi in biblioteca e non vuole perdere quell’oasi di pace.

June, una protagonista patetica

È veramente orribile da dirlo, ma June viene descritta come una ragazza patetica. Non ha mai avuto un amico, non ha mai fatto nulla in vita sua, praticamente vive a immagine e somiglianza di sua madre, che a differenza sua era una donna frizzante, allegra, socievole.

June riesce a dare una svolta alla sua vita solo perché sta per perdere tutto quello che ha sempre avuto, le stanno togliendo la vita che conosce da sotto i piedi e non sa come andare avanti. In un moto di sopravvivenza quindi si rende conto di avere degli amici tra i soliti visitatori della biblioteca, in primis Stanley, che loro contano su di lei più che solo come timbro su un cartellino.

June da non saper dire una parola in pubblico riesce a parlare davanti al consiglio di contea, e pure con un monologo parecchio lungo. Ad un matrimonio si ubriaca e prova a baciare Alex Chen, lei che a 28 anni non ha mai baciato nessuno.

La sua svolta è troppo repentina e troppo contraria alla vita dei precedenti 28 anni per essere reale. Sono passata dal pensare “Svegliaaaaa!!!” al “Cosa?! E ora perché fa questo?”.

Consiglio La biblioteca delle ultime possibilità?

No! Lo consiglio a chi ha voglia di leggere una cosa molto leggera, che non ha un’ampia conoscenza di libri, perché nel libro ne vengono suggeriti parecchi, dopotutto si parla di una biblioteca e di storie che questa biblioteca racchiude. Mi ha commosso? Certo, mi sono fatta un piantino, non certa però se solo per la storia, o anche per quello che di simile è capitato alla mia famiglia.

Non metto in dubbio di non aver compreso il libro, sono sicura che la biblioteca delle ultime possibilità si riferisse a tutti i personaggi che in qualche modo sono emarginati e che trovano nella Chalchot Library un posto dove essere se stessi e accolti per quello che sono, senza pregiudizi.


Autore: Freya Sampson
Titolo dell’opera: La biblioteca delle ultime possibilità
Titolo originale dell’opera: The Last Chance Library
Numero di pagine: 288
Voto: 2/5
Dove trovarlo:

La vita inizia quando trovi il libro giusto, non questo però

La scelta di un libro da acquistare del quale non si conosce la trama può dipendere dalla copertina o dal titolo. Quando l’anno scorso volevo avere a tutti i costi il telo mare della Garzanti con scritto “Io leggo” ho dovuto scegliere velocemente due libri al telefono con mia madre. Se conoscevo A sangue freddo di Truman Capote non avevo mai sentito La vita inizia quando trovi il libro giusto di Ali Berg e Michelle Karus.

Il titolo mi ha fatto pensare ad un saggio sulla lettura, ma purtroppo non è stato così. Questo libro, scritto a quattro mani (!) narra la storia di Frankie, scrittrice sull’orlo del fallimento, che lavora nella libreria della sua migliore amica incinta, sposata con un macho man, che però lavora a maglia – questo particolare è stato sottolineato parecchie volte.

L’amore per la letteratura dovrebbe essere quindi il fulcro del libro, o almeno questo è quello che tutto ci porta a pensare, ma la sola Letteratura, con la L bella maiuscola, che Frankie accetta è solo quella che lei considera bella e meritevole di essere letta e/o ricordata. La sua autrice preferita è Jane Austen che legge e rilegge, tanto da consumare il libro.

La nostra eroina/scrittrice/libraia soffre ancora per una relazione finita da poco con tale Ads (mai nome in questi anni fu scelto peggio, ogni volta che lo leggevo mi veniva in mente la pubblicità di Google) che ormai si è rifatto una vita, quindi lei è alla ricerca dell’amore romantico che legge nei suoi libri preferiti. Quel giorno in libreria entra un ragazzo che più bello non si può, così bello che non sembra vero, un essere immaginario, e infatti quale libro compra questo ragazzo bello come il sole? New Moon!

Frankie, che se non giudica il libro dalla copertina, possiede la scheda numero 1 del club “Giudichiamo le persone da quello che leggono, e se leggi Young Adult sei una brutta persona”, crede di perdere interesse per il bel ragazzo che ha come difetto solo di amare i libri scritti per i giovani adulti, quindi la saga di Twilight, Maze Runner, e via dicendo.

Il ragazzo si chiama Sunny Day (giornata di sole) e come un lampo a ciel sereno entra nella vita di Frankie illuminandogliela, perché lui non è solo bellissimo, ma è bravissimo, un ragazzo d’oro che la ama da subito.

Frankie però prima di iniziare ad uscire con Sunny, aveva deciso di lasciare alla letteratura la scelta dell’uomo della sua vita: prende dalla libreria dell’amica i libri che più le piacciono e alla fine del libro scrive una frase che, paragrafata, recita così “Ciao se anche a te è piaciuto questo libro, dobbiamo assolutamente conoscerci, scrivimi”. Questi libri vengono poi lasciati sparsi nei mezzi di trasporto pubblici.

In contemporanea con gli appuntamenti Frankie scrive un blog con i dettagli degli appuntamenti e anche dell’inizio della relazione con Sunny, che lei ormai chiama Edward [Cullen]. Tra questi ragazzi interessati ad una che usa i libri come un’agenzia per cuori solitari, si trova una donna, uno stalker, un ballerino, che guarda caso è amico di Sunny e che porta luce sugli appuntamenti clandestini di Frankie.

Chiaramente Sunny la perdona, ma non solo! L’agente di Frankie che, dopo l’ultimo flop si era dimenticata di averla come cliente, è venuta a conoscenza del blog e ha deciso di riprenderla sotto la sua ala e di far pubblicare quello che si trova in rete.

Per farla breve, perché purtroppo ho già dedicato troppi mesi alla lettura di questo libro, che è venuto dopo Una vita come tante, che forse ancora devo digerire, tutta la storia di Frankie si svolge in Australia, e non tra tribù indigene, ma in una delle grandi città dell’Australia, Sidney o Melbourne, non ricordo. L’unica cosa di cui io voglio leggere di questo continente sono i canguri e i koala che vivono all’aperto, o conoscere meglio le tribù.

Quindi se posso trovare un insegnamento leggendo questo libro è stato: leggi la quarta di copertina prima di acquistare un libro, perché potresti trovarti delle ciofeche colossali.

L’esile filo della memoria, ovvero il ritorno a casa delle prigioniere di Ravensbrück

Voglio iniziare questa recensione ammettendo subito la mia ignoranza: non conoscevo assolutamente l’autrice, non sapevo dell’esistenza di questo libro, né della sua storia. Il che è strano, in un certo sento, perché il tema di cui andremo a parlare questa volta, è un tema che mi sta molto a cuore ed è un tema sul quale cerco di essere il più informata possibile e di cui cerco di leggere quanto più mi capita.

Forse è anche il motivo per cui, non appena ho sentito parlare di questo testo, ho voluto leggerlo.

L’esile filo della memoria. Ravensbrück, 1945: un drammatico ritorno alla libertà è il racconto di una prigionia, è il racconto di una liberazione, è il racconto di quanto sia difficile essere presi sul serio anche davanti alle tragedie più grandi, quanto sia difficile vedere considerato il proprio dolore.

Lidia Beccaria Rolfi è una giovanissima donna di Mondovì, provincia di Cuneo, che ad appena 18 anni entrò a far parte della Resistenza, come Staffetta Partigiana e, a causa di questo, nell’aprile del 1944, ad appena 19 anni, venne arrestata e deportata nel Lager femminile di Ravensbrück.

Copertina dell’opera

Qui inizia la sua prigionia, fatta di privazioni, di fame, di paure, di orrori, di maltrattamenti e quanto più di brutto possa venirci in mente.

Resta prigioniera nel campo di Ravensbrück per più di un anno fino alla liberazione del campo, dove si era ritrovata a fare i lavori più disparati e si era ritrovata, da un certo punto in poi, anche a lavorare per la Siemens.

Il testo non si concentra tanto sui trascorsi nel campo, i cui racconti fanno sempre e comunque capolino durante tutta la lettura – ovviamente -, quanto su quanto successo dal momento della liberazione, dalla marcia di evacuazione organizzata dalle SS, dal trovare sul suo cammino un soldato italiano che sentendo la sua lingua si era subito interessato a quelle sue compatriote. Il testo racconta del suo ritrovarsi in altri Lager, questa volta da donna libera, in attesa di essere rimpatriata in Italia, di quanto la prigionia, l’esperienza di prigionia delle donne e delle donne prigioniere politiche, non fosse considerata alla pari di quella degli altri e, soprattutto, quella degli uomini.

Lidia Beccaria ci racconta del suo ritorno in Italia, dove sperava di essere accolta con calore, sperava di essere accolta da persone che volessero ascoltare la sua storia, partecipare al suo dolore per aver subito tanto male e alla sua felicità di essere tornata… ma si trova davanti come un muro, un muro di persone che quasi negano quello che le è successo, persone che non hanno neanche interesse ad ascoltare la sua storia.

Non tutti reagiscono in questo modo, nel suo racconto Lidia Beccaria ce lo sottolinea, ma la maggior parte delle persone semplicemente sembra non avere tempo né intenzione di ascoltare ciò che ha da raccontare e, le poche volte che lo fa, semplicemente non credono a ciò che sentono.

Lidia Beccaria, però, è una donna dalla grande forza, forse molto più grande di quello che potremo mai comprendere, e riprende immediatamente in mano la sua vita e, grazie ad un concorso riservato agli ex deportati – comunque oltraggiata dagli ex fascisti che erano rimasti al potere semplicemente cambiando bandiera ma non ideali –  ricomincia ad insegnare e a lottare contro ogni forma di Negazionismo di quello che è accaduto.

La seconda parte del libro, invece, riporta alcuni degli scritti e dei disegni presenti nei diari che Lidia Beccaria, tra mille peripezie, era riuscita a tenere durante la sua prigionia. Fa molto effetto leggere quelle righe e vedere quei disegni, fatti per non dimenticare casa… È incredibile e molto intenso a livello emotivo fermarsi ad immaginare (non riuscendoci) cosa volesse dire tenere un diario in quelle circostanze, cosa si rischiava, quale livello di disperazione si poteva provare nello stare lì.

L’Esile Filo della Memoria è un interessantissimo documento che prova a farci comprendere che la sofferenza non finiva lasciando il campo, i maltrattamenti non finivano con la liberazione, la lotta per affermare i propri diritti e la propria libertà non terminava tornando a casa, ma si trasformava e, in un certo senso, diventava altrettanto incredibile e dolorosa.

Autore: Lidia Beccaria Rolfi
Titolo dell’opera: L’Esile Filo della Memoria: Ravensbrück 1945
Titolo originale dell’opera: come sopra
Numero di pagine: 233 (per il formato Kindle)
Voto: 3/5
Dove trovarlo:

Yanagihara racconta davvero una vita come tante?

Ci sono dei libri che mi trovo “costretta” a leggere, perché non mi piace criticare o elogiare qualcosa solo per sentito dire, quindi devo creare la mia opinione avendo la cosa sotto mano.

Una vita come tante è un libro che crea molte aspettative. Chi lo ha letto dice che si piange dall’inizio alla fine. Una influencer ha iniziato a piangere a pagina 40, ma probabilmente era nella fase premestruale. C’è addirittura chi dice di non poter fare null’altro dopo aver girato l’ultima pagina perché la vita sembra vuota.

Puoi ben capire che iniziare questo romanzo di mille pagine – nella traduzione italiana – è stato quasi come firmare un contratto con il mio cuore. Ogni pagina era un’analisi nell’attesa della lacrima, che – spoiler alert – è arrivata solo all’ultimo capitolo.

Di cosa parla Una vita come tante

Il titolo vuole suggerire che le 1000 pagine del libro raccontino una vita, come la tua e come la mia, come tante ce ne sono in questo mondo. La vita di Jude, che all’università incontra i migliori amici: Willem, Malcom e JB.

Tutti e quattro frequentano Yale. Willem è di origini svedesi, cresciuto in un ranch nel Wyoming con un fratello disabile e dei genitori anaffettivi. Malcom un ragazzo di colore molto ricco, che cerca di rendere orgogliosi i genitori ogni giorno della sua vita. Jean Baptiste un ragazzo di origini haitiane che, per omologarsi alle aspettative della società a scuola raccontava di provenire da una famiglia disagiata, invece la madre è preside di un liceo e lui il cocco delle zie e della nonna con le quali vive.

Infine c’è Jude, il bambino, ragazzo e poi uomo, di cui conosciamo tutto e attorno al quale girano le vicende dei quattro amici. Lui è la stella attorno alla quale orbita tutta la storia e che dirige le dinamiche dell’amicizia.

Cosa succede dopo aver letto Una vita come tante

Ho finito il libro ormai quasi un mese fa e ancora non sono riuscita ad immergermi nella storia di qualcun altro. Subito dopo averlo finito e aver asciugato le lacrime e soffiato il naso, stavo bene, dopotutto è solo un libro e una storia inventata. Eppure dopo alcuni giorni, mi mancava leggere le storie di Willem, Malcom, Jude e JB, in qualche modo la scrittura della Yanagihara riesce ad entrarti dentro.

Sicuramente la scrittrice scrive bene, ma potremmo dire che “le piace leggersi”, un po’ come le persone che parlano senza sosta perché gli piace il suono della loro voce. Diciamo che di quelle 1100 pagine un buon quarto avrebbe potuto essere tagliato.

Ci sono delle descrizioni di fatti che poi non trovano alcun riscontro nelle pagine successive. Credo che Hanya Yanigihara abbia saltato l’insegnamento di Cechov, secondo cui se viene mostrata una pistola, allora questa sparerà. Questo lo si può interpretare anche come: mostra solo ciò che è veramente inerente alla trama. Avrei saltato volentieri tutte le scene descrittive della preparazione e del trucco di Willem, ad esempio, perché non hanno aggiunto nulla al libro.

La critica che è stata maggiormente mossa, nascosta da una miriade di elogi, è che questo libro faccia uno sfoggio estremo del dolore. Quando leggevo mi chiedevo se Yanigihara non avesse per caso un sacchetto pieno di bigliettini con le disgrazie del mondo e attingesse a caso da quello per continuare la storia. Una disgrazia dopo l’altra.

Questo libro mi ricordava i racconti che ci assegnavano alle elementari. La mia amica Alice ed io li terminavamo sempre con: Pietro cade dalla rupe, si rompe la testa pestandola su un masso e muore. Certo Yanigihara articola molto meglio la sofferenza, ma era veramente così necessario accorpare tanti eventi uno peggio dell’altro in una sola persona?

Un’ultima cosa, prima di spingermi nella parte che, se non hai letto il libro, ti consiglio di tralasciare e tornare qui a leggere solo dopo che anche tu avrai detto addio a Jude, Willem, Malcom e JB. In inglese il titolo è A Little Life, letteralmente Una vita piccola, ma nessuna vita dei quattro amici lo è. Tutti e quattro eccellono nei loro ambiti di carriera, ma è veramente possibile che di quattro amici, tutti siano il meglio che il mercato possa offrire? Non credo si sia mai visto che in un gruppo di amici tutti diventino ricchi e conosciuti, neppure se tutti hanno studiato a Yale.

Il libro mi è piaciuto, molto, ma non a fondo, secondo me è un’esagerazione nei sensi della vita e della sofferenza. Mi rifiuto di pensare che qualcuno abbia sofferto così tanto, ma pure che tutti siano così trionfanti nella vita, restando comunque genuini e buoni di cuore. Qualcuno si, ma non tutti come in questo libro! Non è una vita come tante, è una vita particolare, quattro vite straordinarie, nel senso di fuori dall’ordinario!

Jude St. Francis

Jude è un orfano e ha un problema alle gambe che non gli permette di camminare normalmente, anzi gli provoca veri e propri dolori lancinanti che gli bloccano temporaneamente la vita.

Viene sempre descritto come un bel ragazzo, timido e molto riservato, ma estremamente intelligente e gentile. Sembra essere sbucato fuori dal nulla, perché i suoi amici non sanno nulla del suo passato. È arrivato all’università portando tutti i suoi averi dentro uno zaino e prima di allora non aveva mai usato un computer.

Di lui non si sa e non si capisce neanche la provenienza etnica, cosa che disturba JB. Appena nato è stato abbandonato vicino ad un cassonetto e trovato e ospitato da dei frati nel monastero dove vivevano. Jude cresce quindi con degli uomini di Chiesa che fanno di lui un po’ quello che vogliono: lo picchiano, lo puniscono, si fanno trovare nella sua stanza con l’oscurità e decidono che non dovrà possedere mai nulla.

Mi sono chiesta come fosse possibile che questi Frati si fossero presi cura di un bambino in fasce, perché proprio non riesco ad immaginarmi questa scena, ma sebbene Hanya Yanigihara si sia informata dettagliatamente sulla malattia di Jude, in modo da far risultare il tutto più credibile, possibile che non abbia pensato che a qualcuno potesse venire il dubbio sui primi anni della vita di Jude.?Per chiarire da subito: Jude è il nome inglese di Giuda Taddeo, chiaramente scelto dai frati.

In tutto il monastero l’unica persona che è gentile con lui è fratello Luke, quindi, quando questo gli chiede di scappare con lui, il bambino di 8 anni non se lo fa ripetere due volte e sale in macchina, con la speranza nel cuore che Luke diventi suo padre. Invece si trasformerà nel suo protettore ed amante.

Fratello Luke raggira il bambino Jude dicendo di non avere più soldi per comprare la casa in mezzo al bosco che gli aveva promesso dove essere finalmente una famiglia, allora il bimbo dice di poter lavorare per aiutarlo, peccato che il lavoro proposto era soddisfare sessualmente i pedofili delle città dove si rifugiavano.

Questa è la vita che è costretto a fare dagli 8/9 anni fino ai 12 anni, quando la polizia irrompe nella camera d’albergo e Fratello Luke si impicca in bagno. Altro punto dolente della realtà di questo libro: dove ha trovato la corda per impiccarsi, dove l’ha appesa, aveva sempre una corda di riserva nell’attesa di compiere suicidio? Mistero.

Jude viene quindi portato nell’orfanotrofio e pure qui viene abusato dagli assistenti. Siccome non bastavano le violenze sessuali viene picchiato con una scopa così forte che le schegge di legno gli rimangono sotto pelle, infettandola e provocando delle orribili cicatrici, delle quali si vergognerà tutta la vita.

Durante uno di questi abusi notturni nella stalla, dopo essere stato soddisfatto il suo aguzzino si addormenta sopra di lui, offrendogli la possibilità di scappare. Jude corre quindi verso la libertà. Però non ha soldi per comprare un biglietto dell’autobus, e si trova costretto a vendere il suo corpo ai camionisti in cambio di un passaggio.

Spossato a causa delle malattie veneree si addormenta vicino ad un albero e il Dr. Traylor lo carica in macchina e lo porta a casa sua, senza che Jude si accorga di nulla. Qui lo cura, lo sfama e lo tiene rinchiuso nella stanza del piano inferiore nella quale il dottore entra solo quando ha voglia di fare i giochi perversi che tanto gli piacciono. Un giorno , dopo circa quattro mesi di prigionia, stanco del ragazzo, che aveva già provato a scappare, lo porta fuori e lo rincorre con la macchina fino a fargli esaurire le forze, quindi lo investe, causandogli tutti quei problemi che lo porteranno all’amputazione delle gambe.

Finalmente arriva Ana nella sua vita, l’assistente sociale che lo aiuta nella riabilitazione post incidente e che lo affida alle cure di una famiglia, dalla quale sta per poco tempo, fino a quando loro si trasferiscono, ma ormai Jude è abbastanza grande da potersi iscrivere all’università. Fratello Luke gli avrà pure tolto l’innocenza, ma gli ha dato una conoscenza così vasta in quattro anni, che viene ammesso a Yale.

All’università vive nello studentato con Malcom, JB e Willem e diventa molto amico di un professore di diritto, Harold, che lo introduce a casa sua.

Dopo l’università va a vivere a Lispenard Street in un appartamento fatiscente con Willem, che pare essere quello che si prenderà cura di lui, a causa delle sue disabilità. Jude lavora nell’ufficio del procuratore e inizia a farsi una fama come avvocato eccellente. Willem lavora come cameriere e intanto cerca di sfondare come attore, Malcom lavora in uno studio di architetti molto conosciuti, ma è solo uno dei tanti, e JB cerca di trovare la sua strada nell’arte.

Passano gli anni e i destini dei quattro amici sbocciano:
Willem diventa un attore famoso, che guadagna milioni per ogni film, gira più di un film all’anno in ogni parte del mondo;
Malcom fonda uno studio di architetti con la fidanzata e aprono studi sparsi nel mondo;
JB trova la sua strada nel mondo delle gallerie dipingendo le foto che fa ai suoi amici, ma, come ogni buon artista che si rispetta, è schiavo della droga, causa della quale litiga con Jude e Willem;
Jude va a lavorare in uno studio rinomato, guadagna un sacco di soldi ed è l’avvocato più temuto e conosciuto. Purtroppo spesso le gambe gli danno fastidio, quindi deve usare la sedia a rotelle, ma acquista una casa gigante, dove riserva uno spazio all’amico Willem. Viene adottato all’età di 30 anni da Harold e dalla moglie.

Quando le cose sembrano andare bene incontra Caleb, la prima relazione della sua vita. Peccato che quest’uomo non sopporti la debolezza intrinseca di Jude e della sua disabilità, tanto da portarlo ad odiarlo e a trattarlo così male umiliandolo, fino a riempirlo di botte lasciandolo a terra immerso nel suo sangue e vomito. Per fortuna viene ritrovato da Harold la mattina che lo porta da Andy, altra figura importante per Jude, il suo medico, e l’unico a sapere quasi tutto della sua vita, l’unico con il quale parli dei tagli che si fa.

Jude è diventato autolesionista da bambino, uno dei tanti insegnamenti di Fratello Luke, perché al piccolo di 10 anni, che non sopportava di essere usato come un bambolotto dagli uomini, è stato suggerito di tagliarsi, in modo da sopportare l’umiliazione che ne derivava.

Il Jude adulto è un uomo amato dagli amici, ha finalmente dei genitori, ma si sente ancora uno schifo e non meritevole di amore. L’incontro con Caleb non ha fatto altro che aumentare questi pensieri finché non decide di togliersi la vita tagliandosi i polsi. Viene fortunatamente salvato. Willem torna da un luogo lontano dove stava girando un film e da allora, se già erano tanto vicini, il loro rapporto diventa sempre più simbiotico. Lui ed Andy si mettono d’accordo per chiamarlo di notte uno e di mattina l’altro in modo da controllarlo.

Willem rifiuta persino dei ruoli lontani per stare vicino a Jude e si trasferisce da lui per non lasciarlo mai solo. E non lo lascerà più solo perché Willem si rende conto che è innamorato dell’amico, che la protezione che ha nei suoi confronti in realtà è amore ed attrazione.

Lui ci è sempre stato presentato come uno sciupafemmine, un uomo bellissimo che non sa mai stare solo. Quando gli viene quindi chiesto se è gay lui risponde: “Non mi piacciono gli uomini, io amo Jude!” Di primo acchitto non ho capito la scelta di fare innamorare i due amici, che hanno un’amicizia splendida, secondo me la storia non sarebbe cambiata molto se fossero rimasti solo amici, ma andando avanti con il libro questa scelta mi ha disturbato meno.

I rapporto tra i due, ormai uomini, è, si può dire, anomalo. Willem è molto focoso e desidera l’altro genuinamente, Jude invece deve combattere con la credenza che tutti gli uomini da lui vogliano solo sesso. Per lui non esiste fare l’amore, a lui non piace ed è pure impotente. Si lascia andare con l’amore della sua vita quasi un anno dopo che hanno iniziato la loro storia, ma smettono presto di essere fisici perché Willem capisce che a Jude questo provoca disagio.

Quando sembra che si stiano per lasciare, Jude racconta tutta le disgrazie che ha dovuto subire e Willem capisce e non gli chiederà mai più di un abbraccio, ma gli chiede di farsi aiutare da uno psicologo.

Jude deve affrontare anche la sua più grande paura: perdere le gambe. Purtroppo una ferita che si è aperta in un polpaccio non si rimargina provocando dolori insopportabili, ma quelle sono le sue gambe, anche se malandate. Durante la riabilitazione non è solo, ha tutte le persone che lo amano vicino e sempre disponibili.

Le cose sembrano andare per il meglio, lui e Willem sono felici e hanno costruito una casa nel mezzo del bosco, dove spesso vanno. Proprio quando avevano pianificato di riunirsi tutti lì per un weekend, Willem in macchina di ritorno dalla stazione con Malcom e consorte ha un incidente e tutti e tre muoiono.

Quando pensi che le cose non potrebbero andare peggio, respira e preparati ad altro dolore.

Jude perde l’amico più caro e l’unico amore che abbia mai avuto. Perde peso e vuole lasciarsi morire, ma Harold, Andy, JB e Richard lo aiutano a riprendersi. Ma la vita senza Willem non ha senso e sebbene pare stia meglio, veramente meglio, dopo circa due anni e mezzo dalla morte del suo compagno, si toglie la vita, lasciando un vuoto nei cuori dei suoi genitori adottivi, che verrà ricolmato quando troveranno casualmente il regalo che Jude aveva fatto loro il giorno dell’adozione: aveva registrato la sua voce che canta le canzoni preferite di Harold, ma dalla vergogna nascose il CD nella libreria.

Mi piace pensare che il fatto di averlo trovato così tanti anni dopo sia stato il regalo più bello che potessero ricevere.

Autore: Hanya Yanigihara
Titolo dell’opera: Una vita come tante
Titolo originale dell’opera: A Little Life
Numero di pagine: 1091
Voto: 3,5/5
Dove trovarlo: cartaceo.

Noi – L’annullamento dell’Io

Negli ultimi articoli l’avevo già scritto: è un periodo in cui, senza neanche accorgermene, mi ritrovo a leggere tanta letteratura russa. Per continuare la tradizione sovietica, quindi, anche in questo articolo vi parlerò di un libro scritto da un autore russo, ovvero Evgenij Ivanovič Zamjatin.

Avevo iniziato a leggere Noi già forse un anno o due anni fa e poi, per qualche motivo a me ora ignoto, avevo semplicemente non continuato più, nonostante io sia un’amante delle distopie e delle ambientazioni temporali futuristiche anche se non meglio specificate.

Noi è, quindi, un romanzo distopico ambientato in un epoca in cui lo Stato Unico ha conquistato il mondo, imponendo la sua idea di felicità matematica e di società perfetta. Il perimetro entro il quale la vita degli abitanti dello Stato Unico si svolge è circondata da un Muro Verde, che separa lo Stato Unico da tutto il resto, che viene considerato selvaggio e inferiore.

Protagonista, io narrante del romanzo, è D-503 che attraverso le sue note ci porterà a conoscere la società e la loro idea di felicità che gli abitanti dello Stato Unico, ma soprattutto il Benefattore (leader dello Stato), vogliono presentare, trasmettere alle altre popolazioni. Attraverso la costruzione dell’astronave Integrale trasmetteranno tutto questo a tutti gli altri.

La copertina dell’opera

Nella società dello Stato Unico, l’individuo non esiste più. L’uno si è trasformato in “noi”, l’intera popolazione si è in un’unica persona che pensa, si veste, si comporta e vive allo stesso modo. Non esiste privacy, tutti i palazzi sono di vetro, così da poter essere visti e vedere costantemente. Non ci sono pensieri e azioni che non siano controllate.

Esistono però due piccoli lassi di tempo durante la giornata in cui esiste la possibilità di non essere visti, e sono le ore personali: dalle 16 alle 17 e dalle 21 alle 22. Sono le ore in cui solitamente ci sono degli incontri sessuali, già stabiliti ovviamente prima, da parte di due unità che si prenotano l’un l’altra.

La vita di D-503 e di quasi chiunque altro nello Stato Unico procede in questo modo, senza il minimo imprevisto, senza la minima privacy, senza la minima possibilità di scelta. Ma nello Stato Unico esiste ancora qualcuno che non è completamente soggiogato dal pensiero unico, ci sono ancora alcune unità, come I-330, facente parte dei Mefi, un gruppo di resistenti che vuole opporsi al Benefattore e che sconvolge a tal punto la vita e le certezze di D-503 che lui si ammala… di una malattia chiamata Anima.

Cosa succederà dopo starà a voi scoprirlo.

Noi è un romanzo che ti lascia con tante domande nella mente. Non tanto sul libro e sulla trama in sé, quanto sulla società e sulla libertà che tutti noi pensiamo di avere.

È incredibile pensare quanto questi romanzi che noi continuiamo a considerare distopici e, in un certo senso, lontani da noi, descrivano realtà sociali che si avvicinano pericolosamente a quella che è la realtà della vita di oggi. Su di noi viene esercitato un controllo di cui, probabilmente, neanche ci rendiamo conto che, certo, non è quello dello Stato Unico o quello del Grande Fratello, per chiamarlo alla maniera di Orwell – che come Huxley è stato influenzato e ispirato da Zamjatin, ma è un controllo capillare a cui difficilmente ci si può sottrarre.

Consiglio la lettura di questo romanzo che sebbene sia scritto nel passato e proiettato verso un futuro incerto, può aiutarci sicuramente a capire un po’ di più di quello che ci ritroviamo a vivere ogni giorno.

Autore: Evgenij Ivanovič Zamjatin
Titolo dell’opera: Noi
Titolo originale dell’opera: Мы
Numero di pagine: 282 (la mia edizione)
Voto: 4/5
Dove trovarlo: cartaceo, ebook

La Sardegna dell’Accabadora

Michela Murgia è una sarda che mi fa sentire orgogliosa di esserlo anche io e con il racconto Accabadora lei ha dimostrato tutto il suo amore per la nostra isola.

Ho conosciuto questa scrittrice per il saggio Ave Mary, nel quale racconta come il ruolo della donna è stato condizionato dallo zampino della Chiesa. Da quel momento ho voluto saperne di più, sconfiggendo la ritrosia che ho sempre avuto nei confronti di Grazia Deledda, alla quale però mi sto avvicinando con lentezza grazie alla Murgia e all’episodio di Morgana a lei dedicato.

Maria che lascia la Sardegna è una donna alla ricerca di una nuova strada, di qualcosa di nuovo e di evoluto, allontanandosi dalle tradizioni che in quel momento ritiene antiche e anche barbare.

Cosa trovi nell’Accabadora?

Nel romanzo ho ritrovato tutte le atmosfere che mi ricordo della Sardegna di quando ero una bambina e passavo il tempo nel paesino dei miei nonni in Barbagia, dove la sera ci si siede a bordo strada e si vedono le pecore passare di ritorno dal pascolo oppure dove non si nega un saluto a nessuno, neppure ai forestieri.

Le protagoniste del libro sono Bonaria Urrai, una vedova che di mestiere è una sarta, e Maria Listru, che viene adottata dalla prima con la formula di figlia d’anima. Questa si può definire un’adozione orale, nella quale la bambina va a vivere dalla nuova famiglia, ma non perde i contatti con la famiglia biologica.

Il racconto di svolge negli anni Cinquanta, quando la magia dell’entroterra sardo era ancora molto presente, quando le tradizioni non avevano ancora lasciato spazio ad internet. Nel paese, Soreni, tutti si conoscono e tutti mantengono il segreto di Bonaria, quello che di notte lei aiuta le persone a lasciare il mondo terreno con dignità.

Accaba in sardo significa finire, terminare. Quindi Accabadora è colei che fa terminare la vita delle persone più vicine alla morte, per volere loro e dei loro cari. Quella che ora chiamiamo eutanasia.

Maria, ancora giovane, non sa di questo servizio svolto da Bonaria, ma dopo la confidenza di un suo amico che coglie sul fatto l’accabadora durante la festa dei santi, decide di abbandonare la casa che l’ha accolta e si trasferisce a Torino non sentendosi più a suo agio.

I sardi e la Sardegna

Dopo soli due anni ritorna nell’isola per riabbracciare le proprie radici e la sua seconda madre che si è ammalata.

Si dice che i sardi abbiano un legame quasi come un cordone ombelicale invisibile che li lega alla Sardegna, che prima o poi tutti tornano. Non so se è vero. Sicuramente è stato vero per mio padre e anche per mio zio, il ritorno nella Patria che non si sceglie dopo una vita passata in un altro luogo, che invece in qualche modo le circostanze portano a chiamare casa.

Maria torna a Soreni, ma possiamo solo interpretare a nostro piacimento se ha abbracciato le tradizioni che Bonaria le ha trasmesso oppure no. A me piace pensare che Maria ha voluto continuare questo servizio.

L’audiolibro dell’Accabadora

Questo è un articolo di lodi per la scrittrice: Michela Murgia è una perfetta narratrice. Scrive in modo sopraffino e la sua lettura è coinvolgente come pochi.

Prima di ascoltare l’audiolibro dell’Accabadora ho seguito il podcast Morgana presentato dalla Murgia che racconta la vita straordinaria di donne fuori dal comune, donne particolari che sanno cosa vogliono, che però la società giudica stronze.

Se non sei un lettore o comunque non hai tanto tempo di leggere, io ti consiglio di farti leggere l’Accabadora dalla voce della sua scrittrice, sono sicura che ti innamorerai delle atmosfere sarde, quelle più sconosciute, quelle forse più autentiche e antiche.

Autore: Michela Murgia
Titolo dell’opera: Accabadora
Numero di pagine:
Voto: 5/5
Dove trovarlo: cartaceo, audiolibro.

Padri e Figli – Ivan Turgenev

La letteratura russa mi piace molto. Mi capitano periodi in cui per mesi e mesi non leggo un autore russo neanche per sbaglio e altri periodi in cui sembro dimenticare che anche gli autori di altre lingue hanno scritto libri e mi sembra di non avere mai abbastanza di storie e racconti ambientati in Russia.
Questo è un periodo in cui, appunto, chissà perché, mi capita di leggere tantissimi libri di autori russi.

I miei ultimi articoli hanno riguardato Dostoevskij e Nabokov e oggi tocca a Ivan Sergeevic Turgenev e alla sua opera Padri e Figli.

Ero curiosissima di leggere questo testo e mi aspettavo di trovarci un qualcosa che, forse, non ci ho trovato o, comunque, non ci ho trovato totalmente.

Sebbene io sia una persona a cui piace la lettura e la letteratura, se ho interesse a leggere un libro, evito totalmente di leggere recensioni, trame o qualsiasi altra cosa possa avere a che fare con la storia che potrei trovare tra le pagine, perché quando comincio a sapere troppo su quel libro, comincio anche a perdere l’interesse e la curiosità che ho nel leggerlo.

La copertina dell’opera

Quando ho iniziato la lettura di Padri e Figli, pensavo che avrei trovato una storia (o alcune storie) di relazioni tra padri e figli… Magari trovando storie di relazioni positive e costruttive, accanto ad altre storie, totalmente disfunzionali e tragiche. In realtà, Padri e Figli è stato, per me, soprattutto altro.

Per carità, in questo libro troviamo raccontati anche dei rapporti che i protagonisti (Arkadij e Bazarov) hanno con i loro padri/famiglie, ma quello che io ho trovato in queste pagine è anche e soprattutto, il racconto di un’amicizia e di una fascinazione che uno dei personaggi prova per l’altro. Si trovano ideologie portate all’estremo, conflitti generazionali, innamoramenti ricambiati e non… Si trova, quindi, tutto o quasi quello che vorremmo trovare in un grande libro.

Eppure, a me è sembrato come se in questo racconto mancasse qualcosa… E la cosa peggiore è che non riesco a dire cosa è mancato per me.

Tra i due personaggi principali, il mio preferito è assolutamente Bazarov: così ben fatto che, esattamente come capita nella vita, ancora non ho capito se è una personalità che amo od odio. Sicuramente è colui che ha suscitato più interesse dentro di me, con il suo Nichilismo, con la sua bassa considerazione delle donne, salvo poi innamorarsi di una. Con il suo sentirsi migliore degli altri, ma poi ritrovarsi nelle stesse situazioni in cui si sarebbe potuto trovare un qualsiasi altro uomo.

La scrittura molto semplice e scorrevole, anche se con tanti francesismi (e qualche latinismo, anglicismo e germanismo), rendono la lettura molto piacevole e per niente faticosa.

Consiglierei la lettura di questo libro? Sì, perché è un bel libro, scritto bene. Non è il libro che vi cambierà la vita e che vi farà chiedere come avete fatto a sopravvivere tutti questi anni, senza averlo letto, ma vi farà passare delle ore piacevoli e avvincenti.

E voi lo avete letto? Fateci sapere cosa ne pensate!

Autore: Ivan Sergeevic Turgenev
Titolo dell’opera: Padri e Figli
Titolo originale dell’opera: Отцы и Дети
Numero di pagine: 222
Voto: 3,5/5
Dove trovarlo: cartaceo; ebook

Fuga dal campo 14, la storia di Shin Dong-hyuk

Quest’ultimo periodo ho trovato dei documentari sulla Nord Corea, tema che mi ha sempre affascinato molto da quando ne sono venuta a conoscenza, di cui purtroppo ho letto solo un libro: Fuga dal campo 14.

La Nord Corea la definirei un mistero reale, uno Stato vero e proprio che si trova sullo stesso pianeta nel quale viviamo anche noi, ma che non ha nulla a che vedere con quello di cui siamo a conoscenza. Una Nazione anacronistica, bloccata nel tempo e guidata da due persone decedute.

La storia di Shin Dong-hyuk e la sua fuga dal campo 14

Shin Dong-hyuk è nato in un campo per prigionieri politici in Nord Corea. I suoi genitori si sono conosciuti dentro e si trovano in questo luogo per delitti compiuti da lontani parenti. La dinastia Kim ha creato questo governo del terrore nel quale, se una persona della tua famiglia è contro il Leader, allora tutta la famiglia e anche gli eredi che non sono ancora nati saranno obbligati a scontare la vita in punizione nel campo di concentramento a patire la fame.

Proprio in uno di questi campi è nato e cresciuto Shin. Non è mai uscito da qui e non sa cosa c’è oltre la rete che delimita il campo 14. La sua è una vita nella quale il cibo scarseggia, viene continuamente malmenato dai maestri del campo, va a scuola, ma in realtà non impara nulla di utile, solo le regole del campo:

  1. Non provare a scappare
  2. È vietato formare gruppi di più di due prigionieri
  3. Non rubare
  4. Agli ordini delle guardie bisogna obbedire incondizionatamente
  5. Chiunque avvisti un fuggitivo o una figura sospetta è tenuto a denunciarlo immediatamente
  6. I prigionieri devono tenersi sotto controllo a vicenda e denunciare immediatamente qualsiasi comportamento sospetto
  7. Ogni prigioniero deve portare a termine tutto il lavoro che gli viene assegnato quotidianamente
  8. Fuori dal luogo di lavoro non è ammessa interazione tra persone di sesso diverso per motivi personali
  9. I prigionieri devono pentirsi sinceramente dei propri errori
  10. I prigionieri che violano le regole e i regolamenti del campo verranno fucilati all’istante

Praticamente la legge suprema di questo campo è Mors tua vita mea. Quando Shin fugge dal campo 14 infatti sa perfettamente che sua madre e suo fratello verranno uccisi, non appena le guardie si accorgeranno della sua assenza.

Shin decide di scappare in seguito ai racconti di un prigioniero venuto dall’esterno che gli racconta del cibo che c’è al di fuori del campo, e lui, affamato da quando è nato, decide che è ora di riempirsi la pancia per bene.

Quando riesce a fuggire, raggiunge la Cina e si rifugia all’ambasciata Sud Coreana, dove finalmente viene ospitato. Ora Shin vive tra la Sud Corea e gli Stati Uniti e fa di tutto per raccontare quello che succede veramente in Nord Corea.

Informazioni sulla Nord Corea

Questo è solo il primo libro che ho letto anni fa sulla Nord Corea, ma vorrei informarmi più che posso, possibilmente senza visitarla.

Ho nella mia wishlist, già due libri di persone occidentali che hanno vissuto per lungo tempo lì e che, meglio di chi la racconta avendola solo visitata per pochi giorni, potrà offrirmi un quadro più completo. Non che non mi interessino le informazioni di chi è stato in Nord Corea anche solo pochi giorni. Infatti appena trovo un video su Youtube o stories su Instagram di persone che hanno potuto vedere questo Stato e le sue persone dall’interno, blocco tutto quello che stavo facendo e lo guardo, curiosa come un riccio.

Da queste persone ho appreso che appena si arriva in a Pyongyang si viene scortati da almeno due guide del posto e un autista, che ti faranno vedere solo quello che vogliono loro. Non potrai parlare con persone del luogo e fare loro domande. I quesiti che hai in testa verranno colmati solo dalle tue ombre-guide e sempre risponderanno cose positive e ringrazieranno il caro leader.

Mai potrai andare in giro da solo, non potrai uscire dall’hotel se non in compagnia delle tue ombre.

Dopo la Fuga dal campo 14

È stato molto interessante leggere di come si comportano i nordcoreani che riescono ad uscire dalla loro Patria. Sono per lo più persone apatiche, che difficilmente riescono ad integrarsi nella società. Non sanno svolgere praticamente nessun lavoro e non sono abituati a pensare con la propria testa, perché abituati ad essere governati in ogni aspetto della loro vita. Non dimentichiamoci che non possono scegliere liberamente neppure il taglio di capelli da portare.

Interessanti sono anche gli studi della società. I nordcoreani, a paragone con i sudcoreani, sono più piccoli di statura. Questo avviene a causa della scarsità di cibo, di tutta la Nazione, non solo quella dei campi di concentramento.

Sono racconti come questi che ti fanno ringraziare di essere nato dalla parte giusta e che ti ricordano che tutto è solo un caso.

Autore: Blaine Harden
Titolo dell’opera: Fuga dal campo 14
Titolo originale dell’opera: Escape from Camp 14
Numero di pagine: 298
Voto: 4/5
Dove trovarlo: cartaceo, ebook.

Invito a una Decapitazione

Vladimir Nabokov è l’autore colpevole di aver scritto il mio romanzo preferito, ovvero Lolita (QUI la recensione di Silvia).

Per tanto tempo, dopo aver letto Lolita, non ho letto altro della produzione letteraria di Nabokov forse per paura di rimanere delusa dall’autore che era stato in grado di produrre un tale capolavoro.

Qualche tempo fa, invece, ho deciso di leggere altro e, essendo rimasta incuriosita tantissimo dal titolo, ho cominciato a leggere Invito a una Decapitazione.

Il romanzo tratta della storia di Cincinnatus, della sua detenzione e della sua condanna a morte. Cincinnatus viene portato in cella dove incontrerà dei personaggi (ricorrenti) che hanno, nella maggior parte dei casi, dei comportamenti incomprensibili e del tutto fuori luogo per la situazione e per il ruolo effettivamente ricoperto.
Cincinnatus vive la sua prigionia con rassegnazione, quasi accettazione, l’unico suo cruccio e motivo di sofferenza – oltre all’infedeltà e mancanza di amore da parte di sua moglie – è il non poter sapere, con precisione, quando sarà la data effettiva in cui verrà portato al patibolo. Quest’incertezza lo fa soffrire enormemente perché è convinto che questo non sapere sia accettabile solo per un uomo libero, ma non per chi sta aspettando la sua fine. Il giorno tanto atteso, poi, arriva, sebbene l’epilogo sarà diverso da quello che ci aspetteremmo.

La copertina dell’opera

Invito a una Decapitazione è un libro che parla, sebbene con ambientazione e personaggi diversi della dittatura bolscevica in Russia.
Lo stile e la scrittura di Nabokov sono sempre molto intensi, così come molto intensi, profondi e dolorosi sono i pensieri espressi da Cincinnatus che si ritrova solo, non tanto fisicamente, quanto emozionalmente. Circondato da persone insensibili, che non lo comprendono, non comprendono i suoi sentimenti, non comprendono la sua persona, non comprendono la situazione.
La domanda vera, forse, sarebbe “non comprendono o non gli importa?”. Durante la lettura del libro, ogni qual volta che Cincinnatus si trova in scena con altri personaggi, si viene pervasi dallo sconforto nel vedere la mancanza di tatto e di umanità nei confronti di un uomo che viene lasciato lì nel dubbio, nell’incertezza e nella solitudine più totale.

Ammetto che non è stata una lettura facile. È stato un testo (breve) che mi ha preso molti mesi per finirlo. È stata una lettura che non mi andava di fare quando, semplicemente avevo voglia di leggere, era una lettura che volevo fare quando avevo voglia di leggere esattamente questo.

Molti definiscono questo testo come “kafkiano”, sebbene Nabokov avesse dichiarato di non conoscere Kafka né la sua opera ai tempi della stesura del testo. Nabokov stesso, nella prefazione al libro, scrive: “I critici émigrés, disorientati da un libro che pure apprezzavano, credettero di cogliervi una vena <<kafkiana>> senza sapere che non conoscevo il tedesco, ignoravo del tutto la letteratura tedesca moderna, e non avevo ancora letto traduzioni, francesi o inglesi, delle opere di Kafka“.

Quasi un caso fortunato, quindi, per chi, come me, ama moltissimo la produzione letteraria kafkiana e non disegna di trovare qua e là una qualche analogia o similitudine alle opere del caro Franz.

Consiglio la lettura di questo libro, sia per la profondità di molti passaggi, sia perché Nabokov è, sì, Lolita, ma anche tanto tanto di più.

Autore: Vladimir Nabokov
Titolo dell’opera: Invito a una Decapitazione
Titolo originale dell’opera: Приглашение на казнь // Invitation to a Beheading
Numero di pagine: 222
Voto: 3/5
Dove trovarlo: cartaceo, ebook

E se Elisabetta II fosse una sovrana lettrice?

Immagina che la regina Elisabetta II un giorno scopra che i libri nella sua libreria immensa non siano solo oggetti, ma scrigni di avventure. Una pagina dopo l’altra Elisabetta abbandona la vita di corte e si rifugia tra le storie che quei libri contengono.

Di cosa parla La sovrana lettrice

Il libro La sovrana lettrice di Alan Bennett racconta di come la regina del Regno Unito si innamora della lettura. Per la prima volta entra nella stanza della biblioteca e si sofferma sui volumi negli scaffali. Accarezza i dorsi e ne prende uno a caso per la prima volta. Da quel momento si interessa solo alla lettura fatta per piacere e non per dovere.

Si fa aiutare nella scelta dal factotum Norman, che in fatto di libri ne sa più di lei. Questo nuovo hobby di Elisabetta diventa il tema principale dei suoi incontri a palazzo. Con i suoi ospiti parla di letteratura o di autori, e cerca pure di incontrare alcuni di questi.

Il primo ministro e gli uomini dell’entourage della Regina si preoccupano che una sovrana lettrice non sia una cosa buona, per tutto il tempo che ormai lei dedica ai libri e ai discorsi considerati non adatti ad una reale.

La lettura salva tutti

La lettura, qualunque essa sia, rende la vita migliore perché apre la mente. Si dice che chi non legge vive solo una vita, invece il lettore ne vive migliaia, tante quante sono le storie che dei libri che ha avuto sottomano.

Certamente queste sono cose ovvie, ma spesso è utile soffermarsi e pensare anche a quanto di più semplice ci sia nella nostra vita. Poter leggere e avere voglia di aprire un libro, che sia un romanzo o un saggio, insegna sempre qualcosa di nuovo. Vocaboli che non si sono mai sentiti; culture che non abbiamo mai visitato; si apprendono nozioni che prima non si conoscevano.

Se la lettura ti ha accompagnato dall’infanzia o che tu abbia scoperto questo mondo fantastico in tarda età, non lasciarlo mai e sii vorace. Fai come la Elisabetta di Alan Bennett e lascia tutto per dedicarti alla lettura. Certo, il conto in banca della Regina aiuterebbe a passare tutto il tempo con gli occhi su un libro!

L’audiolibro de La sovrana lettrice letto da Paola Cortellesi

Questo racconto l’ho ascoltato e non letto, in realtà. L’audiolibro era letto da Paola Cortellesi che ha dato voce alla scrittura ironica di Bennett rendendo la storia molto piacevole.

Questo fa capire che quando si ascolta un romanzo, la voce del lettore o lettrice è molto più importante della qualità del racconto stesso. Infatti questo mi è piaciuto moltissimo, mentre Ragazze elettriche non mi ha soddisfatta, e penso che la colpa, oltre il linguaggio troppo pop, è da ricondurre alla voce della lettrice.

Autore: Alan Bennett
Titolo dell’opera: La sovrana lettrice
Titolo originale dell’opera: The uncommon Reader
Numero di pagine: 95
Voto: 4/5
Dove trovarlo: Libro cartaceo, ebook.