In questo 2020 dominato, comprensibilmente, dalle notizie sul Covid-19, nelle ultime settimane un altro argomento ha, soprattutto per alcuni giorni, cercato di farla da padrone.

Le votazioni e conseguenti elezioni del quarantaseiesimo Presidente degli Stati Uniti d’America. Come tutti sappiamo, la partita si è giocata tra il candidato del Partito Repubblicano Donald Trump e quello del Partito Democratico Joe Biden (già ex Vicepresidente della presidenza Obama).

La politica è da sempre un argomento che mi interessa molto. Non sono una massima esperta, certo, ma cerco di tenermi informata, cercando di non rimanere all’oscuro di ciò che succede nel mondo. Questa elezione, poi, ha assunto non solo per me, ma per tutti noi, un’importanza elevatissima… E a chi dice che le elezioni in USA siano qualcosa che non ci tocca, beh, direi di pensarci meglio e rendersi conto che tutto ciò che avviene (o non avviene) negli USA ha un impatto totale su tutto il resto del mondo.

Bene, presa dalle notizie e dallo sconforto iniziale di una possibile rielezione di Donald Trump, mi sono resa conto di sentire la mancanza (!) dei modi e della civiltà di una delle first family più amate della storia americana: gli Obama. E mi è tornato in mente il fatto che già da un po’ avessi intenzione di leggere la biografia di Michelle Obama, Becoming, La mia Storia.

La copertina del libro

Quest’autobiografia parte da lontano, dal South Side di Chicago, dove il 17 gennaio 1964 nasce Michelle, figlia di genitori della classe operaia, Fraser e Marian Robinson, e sorella minore di Craig.

Michelle ci parla della sua infanzia, del suo essere una bambina impertinente, che non le manda a dire, e di grandi ambizioni, seppur costantemente dubbiosa di essere a tal punto brava da meritare più degli altri e sempre convinta di non doversi mai concedere nulla per paura di perdere il suo obiettivo. Ci parla delle sue scuole, di quanto le differenze razziali fossero reali e pesanti, di quante volte sia durante i suoi studi (Michelle Obama è laureata a Princeton e successivamente specializzata alla Harvard Law School – due tra gli istituti più prestigiosi del mondo) che durante il suo lavoro, si sia trovata ad essere l’unica donna, e l’unica persona afroamericana in una stanza gremita di uomini bianchi.

Veniamo a sapere di quando, mentre lei lavorava per la società Sidley Austin, incontra un giovane e promettentissimo avvocato da tutti considerato un fenomeno e che aveva un nome stranissimo, un certo Barack Obama. Di come lei all’inizio non avesse alcuna intenzione di legarsi sentimentalmente a qualcuno perché intenzionata prima di tutto a realizzarsi professionalmente, per poi trovarsi travolta dai sentimenti per questo ragazzo dalla grande mente e dai modi gentili. Leggiamo della loro voglia di diventare genitori, ma delle difficoltà a rimanere incinta, tanto da spingere la coppia a tentare, poi con successo, la fecondazione in vitro.

Vorrei soffermarmi su questo episodio che nel libro viene raccontato con tutta la semplicità di questo mondo per sottolineare, davvero, la caratura e l’importanza di questo libro. Una first lady (non importa che il memoir sia stato pubblicato dopo la fine del doppio mandato Obama) che si apre al mondo raccontando della sua esperienza con la fecondazione assistita, grazie alla quale è riuscita a diventare madre due volte, ha secondo me un’importanza incredibile e spezza un tabù che molte donne (e uomini) si trovano a dover affrontare e per il quale, spesso, provano un’ingiusta vergogna.

Malia Obama, Sasha Obama, Barack Obama e Michelle Obama
(Photo by Theo Wargo/WireImage)

Michelle fa un racconto intimo e aperto in merito alla sua vita, al suo matrimonio, alle difficoltà di dover far fronte agli impegni di una madre in carriera, che sente fortemente la vocazione materna ma allo stesso modo sente il bisogno di affermarsi lavorativamente e di quanto sia difficile doversi fare carico di tutto, avendo un marito così impegnato e, di conseguenza spesso assente. Ci dice di quanto odiasse la politica perché toglieva così tanto tempo alla sua vita di coppia e di quanto fosse in disaccordo col marito quando egli le palesò l’intenzione di candidarsi alla Presidenza degli Stati Uniti. L’accordo era “se vinci, bene, se perdi, chiudi definitivamente con la politica”. Il resto è storia.

È stato molto interessante leggere della vita della first family, avendo accesso all’interno di essa. È stato interessante anche vedere come le cose più semplici, cose alle quali noi comuni mortali non faremmo neanche caso, possano diventare difficili se non impossibili. Come anche uscire sul balcone a bere una bibita fresca ha bisogno di organizzazione e non può essere fatto a cuor leggero.

Ho sempre ammirato gli Obama. Dopo aver letto questo libro forse li ammiro un po’ di più, perché mi ha aiutato a rendermi conto ancora di più degli oneri (e non solo degli onori) di un incarico così importante e difficile e fa capire, ancora una volta, che con l’impegno, il duro lavoro e la costanza, nessun traguardo è impossibile.

In un mondo profondamente razzista e misogino, due persone afroamericane provenienti da famiglie modeste, sono arrivati in cima al mondo, solo grazie alle loro capacità, alla loro costanza, al loro impegno. La presidenza degli Obama ha significato tantissimo, sotto una moltitudine di punti di vista. Michelle ce lo ricorda e ricorda ad ognuno di noi (soprattutto alle donne e alle minoranze) che noi e solo noi siamo fautori del nostro destino.

Leggete la storia di Michelle Robinson, poi diventata Obama, sarà illuminante.

Autore: Michelle Obama
Titolo dell’opera: Becoming. La mia Storia.
Titolo originale dell’opera: Becoming
Numero di pagine: 528
Voto: 5/5
Dove trovarlo: cartaceo, e-book, documentario Netflix

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