Categoria: Libreria di Tiziana

L’esile filo della memoria, ovvero il ritorno a casa delle prigioniere di Ravensbrück

Voglio iniziare questa recensione ammettendo subito la mia ignoranza: non conoscevo assolutamente l’autrice, non sapevo dell’esistenza di questo libro, né della sua storia. Il che è strano, in un certo sento, perché il tema di cui andremo a parlare questa volta, è un tema che mi sta molto a cuore ed è un tema sul quale cerco di essere il più informata possibile e di cui cerco di leggere quanto più mi capita.

Forse è anche il motivo per cui, non appena ho sentito parlare di questo testo, ho voluto leggerlo.

L’esile filo della memoria. Ravensbrück, 1945: un drammatico ritorno alla libertà è il racconto di una prigionia, è il racconto di una liberazione, è il racconto di quanto sia difficile essere presi sul serio anche davanti alle tragedie più grandi, quanto sia difficile vedere considerato il proprio dolore.

Lidia Beccaria Rolfi è una giovanissima donna di Mondovì, provincia di Cuneo, che ad appena 18 anni entrò a far parte della Resistenza, come Staffetta Partigiana e, a causa di questo, nell’aprile del 1944, ad appena 19 anni, venne arrestata e deportata nel Lager femminile di Ravensbrück.

Copertina dell’opera

Qui inizia la sua prigionia, fatta di privazioni, di fame, di paure, di orrori, di maltrattamenti e quanto più di brutto possa venirci in mente.

Resta prigioniera nel campo di Ravensbrück per più di un anno fino alla liberazione del campo, dove si era ritrovata a fare i lavori più disparati e si era ritrovata, da un certo punto in poi, anche a lavorare per la Siemens.

Il testo non si concentra tanto sui trascorsi nel campo, i cui racconti fanno sempre e comunque capolino durante tutta la lettura – ovviamente -, quanto su quanto successo dal momento della liberazione, dalla marcia di evacuazione organizzata dalle SS, dal trovare sul suo cammino un soldato italiano che sentendo la sua lingua si era subito interessato a quelle sue compatriote. Il testo racconta del suo ritrovarsi in altri Lager, questa volta da donna libera, in attesa di essere rimpatriata in Italia, di quanto la prigionia, l’esperienza di prigionia delle donne e delle donne prigioniere politiche, non fosse considerata alla pari di quella degli altri e, soprattutto, quella degli uomini.

Lidia Beccaria ci racconta del suo ritorno in Italia, dove sperava di essere accolta con calore, sperava di essere accolta da persone che volessero ascoltare la sua storia, partecipare al suo dolore per aver subito tanto male e alla sua felicità di essere tornata… ma si trova davanti come un muro, un muro di persone che quasi negano quello che le è successo, persone che non hanno neanche interesse ad ascoltare la sua storia.

Non tutti reagiscono in questo modo, nel suo racconto Lidia Beccaria ce lo sottolinea, ma la maggior parte delle persone semplicemente sembra non avere tempo né intenzione di ascoltare ciò che ha da raccontare e, le poche volte che lo fa, semplicemente non credono a ciò che sentono.

Lidia Beccaria, però, è una donna dalla grande forza, forse molto più grande di quello che potremo mai comprendere, e riprende immediatamente in mano la sua vita e, grazie ad un concorso riservato agli ex deportati – comunque oltraggiata dagli ex fascisti che erano rimasti al potere semplicemente cambiando bandiera ma non ideali –  ricomincia ad insegnare e a lottare contro ogni forma di Negazionismo di quello che è accaduto.

La seconda parte del libro, invece, riporta alcuni degli scritti e dei disegni presenti nei diari che Lidia Beccaria, tra mille peripezie, era riuscita a tenere durante la sua prigionia. Fa molto effetto leggere quelle righe e vedere quei disegni, fatti per non dimenticare casa… È incredibile e molto intenso a livello emotivo fermarsi ad immaginare (non riuscendoci) cosa volesse dire tenere un diario in quelle circostanze, cosa si rischiava, quale livello di disperazione si poteva provare nello stare lì.

L’Esile Filo della Memoria è un interessantissimo documento che prova a farci comprendere che la sofferenza non finiva lasciando il campo, i maltrattamenti non finivano con la liberazione, la lotta per affermare i propri diritti e la propria libertà non terminava tornando a casa, ma si trasformava e, in un certo senso, diventava altrettanto incredibile e dolorosa.

Autore: Lidia Beccaria Rolfi
Titolo dell’opera: L’Esile Filo della Memoria: Ravensbrück 1945
Titolo originale dell’opera: come sopra
Numero di pagine: 233 (per il formato Kindle)
Voto: 3/5
Dove trovarlo:

Noi – L’annullamento dell’Io

Negli ultimi articoli l’avevo già scritto: è un periodo in cui, senza neanche accorgermene, mi ritrovo a leggere tanta letteratura russa. Per continuare la tradizione sovietica, quindi, anche in questo articolo vi parlerò di un libro scritto da un autore russo, ovvero Evgenij Ivanovič Zamjatin.

Avevo iniziato a leggere Noi già forse un anno o due anni fa e poi, per qualche motivo a me ora ignoto, avevo semplicemente non continuato più, nonostante io sia un’amante delle distopie e delle ambientazioni temporali futuristiche anche se non meglio specificate.

Noi è, quindi, un romanzo distopico ambientato in un epoca in cui lo Stato Unico ha conquistato il mondo, imponendo la sua idea di felicità matematica e di società perfetta. Il perimetro entro il quale la vita degli abitanti dello Stato Unico si svolge è circondata da un Muro Verde, che separa lo Stato Unico da tutto il resto, che viene considerato selvaggio e inferiore.

Protagonista, io narrante del romanzo, è D-503 che attraverso le sue note ci porterà a conoscere la società e la loro idea di felicità che gli abitanti dello Stato Unico, ma soprattutto il Benefattore (leader dello Stato), vogliono presentare, trasmettere alle altre popolazioni. Attraverso la costruzione dell’astronave Integrale trasmetteranno tutto questo a tutti gli altri.

La copertina dell’opera

Nella società dello Stato Unico, l’individuo non esiste più. L’uno si è trasformato in “noi”, l’intera popolazione si è in un’unica persona che pensa, si veste, si comporta e vive allo stesso modo. Non esiste privacy, tutti i palazzi sono di vetro, così da poter essere visti e vedere costantemente. Non ci sono pensieri e azioni che non siano controllate.

Esistono però due piccoli lassi di tempo durante la giornata in cui esiste la possibilità di non essere visti, e sono le ore personali: dalle 16 alle 17 e dalle 21 alle 22. Sono le ore in cui solitamente ci sono degli incontri sessuali, già stabiliti ovviamente prima, da parte di due unità che si prenotano l’un l’altra.

La vita di D-503 e di quasi chiunque altro nello Stato Unico procede in questo modo, senza il minimo imprevisto, senza la minima privacy, senza la minima possibilità di scelta. Ma nello Stato Unico esiste ancora qualcuno che non è completamente soggiogato dal pensiero unico, ci sono ancora alcune unità, come I-330, facente parte dei Mefi, un gruppo di resistenti che vuole opporsi al Benefattore e che sconvolge a tal punto la vita e le certezze di D-503 che lui si ammala… di una malattia chiamata Anima.

Cosa succederà dopo starà a voi scoprirlo.

Noi è un romanzo che ti lascia con tante domande nella mente. Non tanto sul libro e sulla trama in sé, quanto sulla società e sulla libertà che tutti noi pensiamo di avere.

È incredibile pensare quanto questi romanzi che noi continuiamo a considerare distopici e, in un certo senso, lontani da noi, descrivano realtà sociali che si avvicinano pericolosamente a quella che è la realtà della vita di oggi. Su di noi viene esercitato un controllo di cui, probabilmente, neanche ci rendiamo conto che, certo, non è quello dello Stato Unico o quello del Grande Fratello, per chiamarlo alla maniera di Orwell – che come Huxley è stato influenzato e ispirato da Zamjatin, ma è un controllo capillare a cui difficilmente ci si può sottrarre.

Consiglio la lettura di questo romanzo che sebbene sia scritto nel passato e proiettato verso un futuro incerto, può aiutarci sicuramente a capire un po’ di più di quello che ci ritroviamo a vivere ogni giorno.

Autore: Evgenij Ivanovič Zamjatin
Titolo dell’opera: Noi
Titolo originale dell’opera: Мы
Numero di pagine: 282 (la mia edizione)
Voto: 4/5
Dove trovarlo: cartaceo, ebook

Padri e Figli – Ivan Turgenev

La letteratura russa mi piace molto. Mi capitano periodi in cui per mesi e mesi non leggo un autore russo neanche per sbaglio e altri periodi in cui sembro dimenticare che anche gli autori di altre lingue hanno scritto libri e mi sembra di non avere mai abbastanza di storie e racconti ambientati in Russia.
Questo è un periodo in cui, appunto, chissà perché, mi capita di leggere tantissimi libri di autori russi.

I miei ultimi articoli hanno riguardato Dostoevskij e Nabokov e oggi tocca a Ivan Sergeevic Turgenev e alla sua opera Padri e Figli.

Ero curiosissima di leggere questo testo e mi aspettavo di trovarci un qualcosa che, forse, non ci ho trovato o, comunque, non ci ho trovato totalmente.

Sebbene io sia una persona a cui piace la lettura e la letteratura, se ho interesse a leggere un libro, evito totalmente di leggere recensioni, trame o qualsiasi altra cosa possa avere a che fare con la storia che potrei trovare tra le pagine, perché quando comincio a sapere troppo su quel libro, comincio anche a perdere l’interesse e la curiosità che ho nel leggerlo.

La copertina dell’opera

Quando ho iniziato la lettura di Padri e Figli, pensavo che avrei trovato una storia (o alcune storie) di relazioni tra padri e figli… Magari trovando storie di relazioni positive e costruttive, accanto ad altre storie, totalmente disfunzionali e tragiche. In realtà, Padri e Figli è stato, per me, soprattutto altro.

Per carità, in questo libro troviamo raccontati anche dei rapporti che i protagonisti (Arkadij e Bazarov) hanno con i loro padri/famiglie, ma quello che io ho trovato in queste pagine è anche e soprattutto, il racconto di un’amicizia e di una fascinazione che uno dei personaggi prova per l’altro. Si trovano ideologie portate all’estremo, conflitti generazionali, innamoramenti ricambiati e non… Si trova, quindi, tutto o quasi quello che vorremmo trovare in un grande libro.

Eppure, a me è sembrato come se in questo racconto mancasse qualcosa… E la cosa peggiore è che non riesco a dire cosa è mancato per me.

Tra i due personaggi principali, il mio preferito è assolutamente Bazarov: così ben fatto che, esattamente come capita nella vita, ancora non ho capito se è una personalità che amo od odio. Sicuramente è colui che ha suscitato più interesse dentro di me, con il suo Nichilismo, con la sua bassa considerazione delle donne, salvo poi innamorarsi di una. Con il suo sentirsi migliore degli altri, ma poi ritrovarsi nelle stesse situazioni in cui si sarebbe potuto trovare un qualsiasi altro uomo.

La scrittura molto semplice e scorrevole, anche se con tanti francesismi (e qualche latinismo, anglicismo e germanismo), rendono la lettura molto piacevole e per niente faticosa.

Consiglierei la lettura di questo libro? Sì, perché è un bel libro, scritto bene. Non è il libro che vi cambierà la vita e che vi farà chiedere come avete fatto a sopravvivere tutti questi anni, senza averlo letto, ma vi farà passare delle ore piacevoli e avvincenti.

E voi lo avete letto? Fateci sapere cosa ne pensate!

Autore: Ivan Sergeevic Turgenev
Titolo dell’opera: Padri e Figli
Titolo originale dell’opera: Отцы и Дети
Numero di pagine: 222
Voto: 3,5/5
Dove trovarlo: cartaceo; ebook

Invito a una Decapitazione

Vladimir Nabokov è l’autore colpevole di aver scritto il mio romanzo preferito, ovvero Lolita (QUI la recensione di Silvia).

Per tanto tempo, dopo aver letto Lolita, non ho letto altro della produzione letteraria di Nabokov forse per paura di rimanere delusa dall’autore che era stato in grado di produrre un tale capolavoro.

Qualche tempo fa, invece, ho deciso di leggere altro e, essendo rimasta incuriosita tantissimo dal titolo, ho cominciato a leggere Invito a una Decapitazione.

Il romanzo tratta della storia di Cincinnatus, della sua detenzione e della sua condanna a morte. Cincinnatus viene portato in cella dove incontrerà dei personaggi (ricorrenti) che hanno, nella maggior parte dei casi, dei comportamenti incomprensibili e del tutto fuori luogo per la situazione e per il ruolo effettivamente ricoperto.
Cincinnatus vive la sua prigionia con rassegnazione, quasi accettazione, l’unico suo cruccio e motivo di sofferenza – oltre all’infedeltà e mancanza di amore da parte di sua moglie – è il non poter sapere, con precisione, quando sarà la data effettiva in cui verrà portato al patibolo. Quest’incertezza lo fa soffrire enormemente perché è convinto che questo non sapere sia accettabile solo per un uomo libero, ma non per chi sta aspettando la sua fine. Il giorno tanto atteso, poi, arriva, sebbene l’epilogo sarà diverso da quello che ci aspetteremmo.

La copertina dell’opera

Invito a una Decapitazione è un libro che parla, sebbene con ambientazione e personaggi diversi della dittatura bolscevica in Russia.
Lo stile e la scrittura di Nabokov sono sempre molto intensi, così come molto intensi, profondi e dolorosi sono i pensieri espressi da Cincinnatus che si ritrova solo, non tanto fisicamente, quanto emozionalmente. Circondato da persone insensibili, che non lo comprendono, non comprendono i suoi sentimenti, non comprendono la sua persona, non comprendono la situazione.
La domanda vera, forse, sarebbe “non comprendono o non gli importa?”. Durante la lettura del libro, ogni qual volta che Cincinnatus si trova in scena con altri personaggi, si viene pervasi dallo sconforto nel vedere la mancanza di tatto e di umanità nei confronti di un uomo che viene lasciato lì nel dubbio, nell’incertezza e nella solitudine più totale.

Ammetto che non è stata una lettura facile. È stato un testo (breve) che mi ha preso molti mesi per finirlo. È stata una lettura che non mi andava di fare quando, semplicemente avevo voglia di leggere, era una lettura che volevo fare quando avevo voglia di leggere esattamente questo.

Molti definiscono questo testo come “kafkiano”, sebbene Nabokov avesse dichiarato di non conoscere Kafka né la sua opera ai tempi della stesura del testo. Nabokov stesso, nella prefazione al libro, scrive: “I critici émigrés, disorientati da un libro che pure apprezzavano, credettero di cogliervi una vena <<kafkiana>> senza sapere che non conoscevo il tedesco, ignoravo del tutto la letteratura tedesca moderna, e non avevo ancora letto traduzioni, francesi o inglesi, delle opere di Kafka“.

Quasi un caso fortunato, quindi, per chi, come me, ama moltissimo la produzione letteraria kafkiana e non disegna di trovare qua e là una qualche analogia o similitudine alle opere del caro Franz.

Consiglio la lettura di questo libro, sia per la profondità di molti passaggi, sia perché Nabokov è, sì, Lolita, ma anche tanto tanto di più.

Autore: Vladimir Nabokov
Titolo dell’opera: Invito a una Decapitazione
Titolo originale dell’opera: Приглашение на казнь // Invitation to a Beheading
Numero di pagine: 222
Voto: 3/5
Dove trovarlo: cartaceo, ebook

Il Grande Gatsby

Tutti noi, almeno una volta nella vita, abbiamo sentito parlare de Il Grande Gatsby. È uno dei titoli più di successo della letteratura americana e il 99% delle persone che lo hanno letto ne parla con toni entusiastici.

Io faccio parte del restante 1%.

Probabilmente avevo delle aspettative troppo alte, forse il libro è semplicemente troppo dispersivo, forse sono io a non averne percepito e compreso la grandezza. Fatto sta che ne sono rimasta molto delusa.

Non che sia per forza di cose di cose un brutto libro… È solo che probabilmente dopo averne sentito parlare solo ed esclusivamente bene, mi aspettavo molto ma molto di più.

La trama probabilmente è nota a tutti e credo che non ci sia bisogno di spendere più di due righe a riguardo: il libro tratta della vita o, per meglio dire, del mistero che è la vita di James Gatz, un giovane ragazzo del Nord Dakota che abbandona la casa dei genitori per crearsi una vita e una nuova identità al di fuori della povertà delle sue origini.
Sul suo passato e sulle sue origni si verranno a creare tante dicerie e tanti dubbi che verranno poi brevemente dissipati durante la lettura.
Verremo a sapere che ha vissuto alcuni mesi ad Oxford, che la sua nuova vita (con tanto di cambio nome in Jay Gatsby) è iniziata a seguito di un incontro con un proprietario di yacht di nome Dan Cody che verrà ricordato da Gatsby come il suo più caro amico, scopriremo che è da anni innamorato di una donna di nome Daisy e capiremo, leggendo delle sue feste, di quanto in realtà sia solo e afflitto dalla solitudine.

La copertina dell’opera

Il tema della solidutine, infatti, è stato per me il tema centrale dell’opera.
Gatsby si circonda sempre di tantissime persone, molte delle quali a lui addirittura sconosciute o che comunque ignorano chi sia lui… Ogni sera organizza una festa nella sua villa, quasi per evitare di dover far fronte alla sua solitudine.
La solitudine di Gatsby, però, a me è apparsa veramente chiara solo nell’ultimo capito del libro, soprattutto a seguito di un determinato evento e alla promessa fatta da Nick Carraway – che è il personaggio che fa da narratore alla storia – a Gatsby che gli dice, testualmente, “Ti farò venire qualcuno, Gatsby. Non preoccuparti. Fidati di me e ti farò venire qualcuno“, come a voler sottolineare che Carraway ha finalmente capito che il dolore più grande di Gatsby era stato quello causatogli dalla solitudine e che, forse, in un certo senso, il suo crearsi questa nuova vita e questo nuovo personaggio erano anche un modo di proteggersi dal mondo esterno che sembrava averlo privato di tutto, anche del grande amore della vita.

Credo che se avessi letto questo libro senza averne mai sentito parlare prima, probabilmente mi sarebbe piaciuto di più. Forse le aspettative erano troppo altre, forse c’era una sorta di inconscio timore reverenziale che mi aveva tenuta lontana da questo libro che si è rilevato, però, infondato.

A differenza di tanti altri libri che non mi sono piaciuti e che non consiglierei, probabilmente non riuscirei a dire a qualcuno di non leggere Il Grande Gatsby, perché probabilmente è un testo che va letto con meno pregiudizi e più leggerezza… e forse è un libro che, semplicemente, va riletto.

Con dispiacere e stupore, ammetto che, per me, Il Grande Gatsby è stato un po’ una delusione. Tu, invece, cosa ne pensi?

Autore: Francis Scott Fitzgerald
Titolo dell’opera: Il Grande Gatsby
Titolo originale dell’opera: The Great Gatsby
Numero di pagine: 160
Voto: 2,5/5
Dove trovarlo: cartaceo, ebook

No One is too Small to Make a Difference

Nell’agosto 2018 una giovane ragazza svedese decise di iniziare un’azione non violenta per chiedere al governo nazionale di agire in favore del clima e per sensibilizzare l’opinione pubblica in merito alla crisi climatica che ci troviamo a vivere.

Quella giovane, di nome Greta, quindi, ogni venerdì si presentava con il suo cartello “Sciopero scolastico per il clima” (Skolstrejk för klimatet) davanti al Parlamento svedese e rimaneva lì, seduta, ad aspettare.

Vedendola seduta davanti al parlamento ogni venerdì, i media cominciarono ad interessarsi a lei, alla sua storia e, soprattutto, alla sua protesta: nel mondo iniziarono a circolare i primissimi articoli su Greta e sui suoi scioperi scolastici. In poco tempo i giovani (ma non solo) di tutto il mondo trovarono in Greta la leader di un movimento destinato a crescere enormemente e a portare nuova consapevolezza delle sfide climatiche che, quasi senza saperlo, ci troviamo a dover combattere ogni giorno.

No One is too Small to Make a Difference è una raccolta di estratti di suoi discorsi tenuti in tutto il mondo e in innumerevoli occasioni.

La copertina dell’opera

Nei suoi discorsi, che scrive da sola e per i quali chiede semplicemente delle consulenze per essere sicura di non dare informazioni inesatte, Greta non ha paura di rivolgersi ai potenti del mondo, ai grandi, alle celebrità, agli influencer e a tutte le persone che avrebbero la possibilità di fare da eco alla questione ambientalista, che avrebbero la possibilità di iniziare davvero il cambiamento, ma non lo fanno per paura di risultare impopolari, perdere voti, perdere simpatie e potere.
Greta sottolinea più volte che è ben consapevole che una grande fetta degli adulti considerino i giovani del movimento Friday for Future semplicemente come dei bambini e che capisce che tanti degli adulti non abbiano voglia di ascoltare quello che dei bambini hanno da dire… ma questo non è un problema per lei, perché ciò che questi bambini stanno facendo è solo riportare quanto affermato dagli scienziati. Lo ripete spesso: non ascoltate noi, ascoltate gli scienziati!
Il nostro tempo sta scadendo, stiamo portando il nostro pianeta verso il disastro. Siamo distruggendo la possibilità di sopravvivenza per la nostra stessa specie e questo sembra non interessare nessuno. Nessuno parla abbastanza della crisi climatica, nessuno la tratta per quello che è, ovvero la più grande crisi (anche e soprattutto) umanitaria che la nostra specie si trova a dover fronteggiare.

Il testo riporta tutti i discorsi più celebri di Greta, compreso il celeberrimo “How-Dare-You-speech”, che se non ricordi, potrai vedere QUI.

Greta in sciopero davanti al parlamento svedese

Greta, che nel 2019 è stata proclamata “Person of the Year” dalla rivista Time, si è trovata molto spesso ad essere attaccata da tantissimi (anche da super portenti – tipo Trump), che ne attaccano l’aspetto, le idee, i modi in cui si batte per questi ideali.
Non capisco come questo sia possibile.
Non capisco come sia possibile scagliarsi contro una persona che ha scelto una protesta non violenta e che si batte per il futuro di ognuno di noi, che sta provando a dare voce a chi per tanto tempo non ne ha avuta.
Molti dicono che è solo una ragazzina e che è assurdo pensare che una ragazzina debba essere una leader di un movimento… ma questo non può essere un attacco rivolto a Greta, bensì un punto di inizio per riflettere sul fatto che c’è stato bisogno di un’adolescente per sensibilizzare le persone al problema climatico, perché le generazioni precedenti hanno pensato solo al tornaconto personale senza preoccuparsi delle conseguenze disastrose che alcuni comportamenti avrebbero avuto su ognuno di noi.

No One is too Small to Make a Difference è una raccolta molto interessante anche se veramente breve, a volte, per forza di cose, un po’ ripetitiva, ma sempre illuminante e attraverso la lettura di questo libricino si può trovare anche la risposta ad una delle accuse più frequesti mosse a Greta, ovvero quanto sia pilotata dalla sua famiglia: ebbene, i suoi genitori non erano affatto d’accordo con i suoi scioperi e il suo estremo impegno e attivismo ambientalista, ma le hanno dato la possibilità di scegliere se continuare (facendo affidamento solo sulle sue forze) o smettere.
La sua scelta di continuare è già storia.

Autore: Greta Thunberg
Titolo dell’opera: Nessuno è troppo piccolo per fare la differenza
Titolo originale dell’opera: No One is too Small to Make a Difference
Numero di pagine: 106
Voto: 4/5
Dove trovarlo: cartaceo (ITA), cartaceo (EN), ebook (ITA), ebook (EN)

Povera Gente, ovvero l’esordio di Dostoevskij

Quando si pensa alla letteratura russa sono tanti i nomi che ci vengono in mente: alcuni pensano a Gogol’, altri pensano a Tolstoj, altri ancora a Bulgakov, a Nabokov e così via… il nome, lo scrittore che, però, tutti conosciamo e almeno una volta nella vita abbiamo letto è Fëdor Michajlovič Dostoevskij.

Povera Gente è il primo romanzo scritto da Fëdor Dostoevskij e tratta, come intuibile dal titolo, del racconto della vita costellata di miseria e difficoltà che si trovano a vivere i protagonisti del romanzo.

Questo scritto è un qualcosa di atipico per Dostoevskij: il libro infatti è un romanzo epistolare e noi impariamo a conoscere i due personaggi (principali) attraverso i loro stessi scritti.

La copertina dell’opera

Varvara Dobroselova (detta anche Varen’ka), una giovane donna orfana e con alle spalle una sofferta giovinezza, infatti tiene una fitta corrispondenza epistolare con suo cugino di secondo grado, Makar Alekseevič Devushkin, col quale discute delle difficoltà della vita, della sua paura di affrontare il mondo e della solitudine che sente dopo la morte di sua madre. Varen’ka è un personaggio che, in parte, suscita grande pena. Ha avuto un’infanzia felice, finché non ha dovuto lasciare il suo paesino per trasferirsi a San Pietroburgo, dove è iniziata la sua sfortuna: prima ha perso il burbero padre che la accusava di tutto ciò che di sbagliato capitava nelle loro vite e poi ha perso anche la madre, rimanendo, di fatto, sola al mondo. È legata a Makar Devushkin ma non riesce a lasciarsi andare completamente perché infastidita dai modi di lui che sperpera (quasi) tutto il suo denaro per comprarle doni che lei neanche vorrebbe.

Makar Devushkin è un personaggio strano e che risulta, per me, a tratti insopportabile. Come detto è il cugino di secondo grado di Varen’ka ma, spesso durante la lettura del libro, ho percepito il suo essere quasi ossessionato da lei. Questo bisogno di ricoprirla di regali, seppur senza praticamente averne la possibilità, mi è sembrato un tentativo di controllo assoluto sulla cugina che, essendo bisognosa di tutto (non per forza materiale), cerca di tenere vicina in questo modo. Le sue lettere, poi, piene di vezzeggiativi, me lo rendono sinceramente intollerabile. Mi ha dato le stesse sensazioni che mi diede Yair, co-protagonista di un altro romanzo epistolare, ovvero Che tu sia per me il Coltello di David Grossman: libro che ho amato e che, sotto tanti punti di vista, ho anche odiato.

Leggendo le loro lettere ci rendiamo conto che a volte parlano di eventi accaduti ma di cui noi non sappiamo niente: i due protagonisti, infatti, si “incontrano” di tanto in tanto fuori dalle pagine del libro e noi percepiamo questi incontri solo da sporadiche frasi che ci fanno intendere che tra una lettera ed un’altra sono capitati degli eventi.

Varen’ka vive la sua vita di stenti e quando si viene a creare per lei una possibilità lavorativa che la porterebbe fuori da San Pietroburgo, Makar si prodiga al fine di convincerla a rimanere in città perché sarà lui a poterle dare tutto ciò di cui ha bisogno.

La povertà e la miseria delle condizioni di Varen’ka la poteranno, però, a prendere una sofferta decisione che la allontaneranno per sempre dal cugino Makar e che causeranno ulteriori enormi sofferenze nei cuori di entrambi, essendo loro legati da un profondissimo e irrealizzabile amore.

Dostoevskij mi piace sempre molto e non credo di aver mai letto nulla di suo che mi abbia in qualche modo deluso. Le sue ambientazioni, le sue descrizioni, anche in un romanzo epistolare, anche in un romanzo che dice poco (o forse niente) del Dostoevskij che passerà alla storia come uno degli autori più grandi di tutti i tempi (non solo russi), sono sempre splendide e leggendo si ha davvero la sensazione di essere lì insieme ai protagonisti dei libri, sulla Prospettiva Nevskij, al mercato dove Varen’ka acquisterà la raccolta di Puskin per il suo amico Pokrovskij e ovunque lo scrittore abbia voglia di portarci, a vivere insieme a loro tutti gli eventi che ci vengono raccontati.

Nella vita ci sono pochissime certezze: una di queste è che se prendi in mano uno scritto di Dostoevskij finirai sicuramente con l’amarlo profondamente.

Autore: Fëdor Michajlovič Dostoevskij
Titolo dell’opera: Povera Gente
Titolo originale dell’opera: Бедные люди
Numero di pagine: 191
Voto: 4/5
Dove trovarlo: cartaceo, ebook

Chernobyl 01:23:40

Chi mi conosce sa che sono una persona afflitta dalle ansie ma che senza di loro non saprebbe come vivere. Questo vuol dire che anche in momenti in cui potrei pensare di sentirmi un po’ più tranquilla e serena, questa sensazione non può durare per molto e, nel caso in cui non ci siano cause esterne a mirare il mio già difficile equilibrio, allora sarò io personalmente a cercare e trovare accuratamente un qualche motivo per far tornare al suo posto quella sensazione di inquietudine che mi accompagna da sempre.

Chernobyl 01:23:40 mi è stato regalato alcuni mesi fa da una delle mie più care amiche che, non so perché, si trovava in un momento di pazzia ed aveva deciso di leggere questo libro, ma voleva lo leggessimo insieme. Per mesi questo libricino è rimasto nella mia libreria, senza che né io né lui sentissimo l’esigenza di conoscerci meglio, finché un paio di settimane fa, per qualche motivo a me ignoto, ho sentito l’ispirazione di leggerlo.

La copertina del libro

Il libro è interessantissimo e, credo, il titolo sia abbastanza esplicativo del tema trattato: la prima parte tratta infatti dell’esposizione (nel modo più semplice possibile, a detta dell’autore) dei fatti mentre la seconda parte descrive il suo viaggio a Pripyat (città sede della centrale nucleare, poi divenuta fantasma a seguito del disastro e dell’evacuazione della città da parte dei cittadini – QUI potrai ascoltare l’annuncio di evacuazione del 27 aprile. Chiaramente è in russo, ma resta comunque molto interessante).

Il disastro nucleare di Chernobyl è quella tragedia da cui tutti ci sentiamo toccati e che tutti sentiamo di aver vissuto in qualche modo, anche se alcuni di noi non erano neanche nati all’epoca dei fatti. Io sono tra quelle persone che quel 26 aprile 1986 dovevano ancora nascere, eppure non sento questa tragedia come qualcosa di lontano da me… sia perché la vicinanza temporale è quella che è (sono nata nel marzo del 1987) ma anche perché è un evento che ha significato in un certo senso un punto di non ritorno in merito all’idea che molti di noi si sono fatti dell’energia nucleare, del suo utilizzo, della necessità del suo utilizzo e dei rischi che comporta.

Nel libro ci vengono raccontati anche alcuni incidenti precedenti a quello di Chernobyl, alcuni negli USA, altri in Gran Bretagna. Ma l’incidente di Chernobyl, insieme a quello di Fukushima del 2011, è considerato il più grande incidente della storia nucleare civile. Nella scala INES, utilizzata per classificare questo tipo di incidenti, infatti, sia Chernobyl che Fukushima sono classificati al settimo livello, quello più alto.

Non nego che la lettura di questo libro è stata inquietante: è stata dura pensare che, più o meno tutti, viviamo in luoghi che potrebbero essere una sorta di bomba ad orologeria. È comunque bene tenere presente che, sebbene l’energia nucleare potrebbe essere devastante, in potenza, è anche vero che, stando ad alcuni studi (citati anche nel libro), la produzione di energia nucleare resta comunque il metodo meno nocivo. Strano, certo, ma sembra essere così.

Si potrebbe quasi fare un’analogia con i viaggi in aereo (e lo dice una che, ovviamente, ha paura di volare!): anche se gli incidenti aerei sono nella maggioranza dei casi catastrofici, è anche vero che l’aereo resta il mezzo di trasporto più sicuro di tutti.

Gli altri sentimenti che proverete nel leggere questo libro, se deciderete di farlo, saranno incredulità e rabbia: non si può provare altro nel rendersi conto di come il malgoverno, più interessato al risparmio che alla messa in sicurezza dell’impianto così da poter assicurare la salvaguardia e il benessere dei propri impiegati e cittadini, la più totale noncuranza nell’ignorare incidenti precedenti e gli errori umani hanno fatto sì che questa catastrofe si verificasse.

Ricordo un intervento della Cancelliera Merkel di qualche anno fa in cui diceva che dopo Fukushima aveva cambiato idea sull’energia elettrica. I disastri di Chernobyl e di Fukushima hanno effettivamente cambiato il punto di vista dell’opinione pubblica in materia e, ad esempio, la Germania si è impegnata ad abbandonare il nucleare entro il 2022.

Chernobyl 01:23:40 è un libro molto interessante, sicuramente non il testo che vi insegnerà e svelerà ogni segreto del disastro di Chernobyl, né del nucleare o delle centrali e del loro funzionamento, ma aiuterà a farsi un’idea rispetto a come non andrebbero gestite delle centrali nucleari e di quanto la sicurezza e la salute della popolazione dovrebbero essere delle priorità per chi ha l’onore (e l’onere) di governarci.

Autore: Andrew Leatherbarrow
Titolo dell’opera: Chernobyl 01:23:40
Titolo originale dell’opera: Chernobyl 01:23:40
Numero di pagine: 263
Voto: 3/5
Dove trovarlo: cartaceo, ebook, audiolibro

Becoming, la storia di Michelle Obama

In questo 2020 dominato, comprensibilmente, dalle notizie sul Covid-19, nelle ultime settimane un altro argomento ha, soprattutto per alcuni giorni, cercato di farla da padrone.

Le votazioni e conseguenti elezioni del quarantaseiesimo Presidente degli Stati Uniti d’America. Come tutti sappiamo, la partita si è giocata tra il candidato del Partito Repubblicano Donald Trump e quello del Partito Democratico Joe Biden (già ex Vicepresidente della presidenza Obama).

La politica è da sempre un argomento che mi interessa molto. Non sono una massima esperta, certo, ma cerco di tenermi informata, cercando di non rimanere all’oscuro di ciò che succede nel mondo. Questa elezione, poi, ha assunto non solo per me, ma per tutti noi, un’importanza elevatissima… E a chi dice che le elezioni in USA siano qualcosa che non ci tocca, beh, direi di pensarci meglio e rendersi conto che tutto ciò che avviene (o non avviene) negli USA ha un impatto totale su tutto il resto del mondo.

Bene, presa dalle notizie e dallo sconforto iniziale di una possibile rielezione di Donald Trump, mi sono resa conto di sentire la mancanza (!) dei modi e della civiltà di una delle first family più amate della storia americana: gli Obama. E mi è tornato in mente il fatto che già da un po’ avessi intenzione di leggere la biografia di Michelle Obama, Becoming, La mia Storia.

La copertina del libro

Quest’autobiografia parte da lontano, dal South Side di Chicago, dove il 17 gennaio 1964 nasce Michelle, figlia di genitori della classe operaia, Fraser e Marian Robinson, e sorella minore di Craig.

Michelle ci parla della sua infanzia, del suo essere una bambina impertinente, che non le manda a dire, e di grandi ambizioni, seppur costantemente dubbiosa di essere a tal punto brava da meritare più degli altri e sempre convinta di non doversi mai concedere nulla per paura di perdere il suo obiettivo. Ci parla delle sue scuole, di quanto le differenze razziali fossero reali e pesanti, di quante volte sia durante i suoi studi (Michelle Obama è laureata a Princeton e successivamente specializzata alla Harvard Law School – due tra gli istituti più prestigiosi del mondo) che durante il suo lavoro, si sia trovata ad essere l’unica donna, e l’unica persona afroamericana in una stanza gremita di uomini bianchi.

Veniamo a sapere di quando, mentre lei lavorava per la società Sidley Austin, incontra un giovane e promettentissimo avvocato da tutti considerato un fenomeno e che aveva un nome stranissimo, un certo Barack Obama. Di come lei all’inizio non avesse alcuna intenzione di legarsi sentimentalmente a qualcuno perché intenzionata prima di tutto a realizzarsi professionalmente, per poi trovarsi travolta dai sentimenti per questo ragazzo dalla grande mente e dai modi gentili. Leggiamo della loro voglia di diventare genitori, ma delle difficoltà a rimanere incinta, tanto da spingere la coppia a tentare, poi con successo, la fecondazione in vitro.

Vorrei soffermarmi su questo episodio che nel libro viene raccontato con tutta la semplicità di questo mondo per sottolineare, davvero, la caratura e l’importanza di questo libro. Una first lady (non importa che il memoir sia stato pubblicato dopo la fine del doppio mandato Obama) che si apre al mondo raccontando della sua esperienza con la fecondazione assistita, grazie alla quale è riuscita a diventare madre due volte, ha secondo me un’importanza incredibile e spezza un tabù che molte donne (e uomini) si trovano a dover affrontare e per il quale, spesso, provano un’ingiusta vergogna.

Malia Obama, Sasha Obama, Barack Obama e Michelle Obama
(Photo by Theo Wargo/WireImage)

Michelle fa un racconto intimo e aperto in merito alla sua vita, al suo matrimonio, alle difficoltà di dover far fronte agli impegni di una madre in carriera, che sente fortemente la vocazione materna ma allo stesso modo sente il bisogno di affermarsi lavorativamente e di quanto sia difficile doversi fare carico di tutto, avendo un marito così impegnato e, di conseguenza spesso assente. Ci dice di quanto odiasse la politica perché toglieva così tanto tempo alla sua vita di coppia e di quanto fosse in disaccordo col marito quando egli le palesò l’intenzione di candidarsi alla Presidenza degli Stati Uniti. L’accordo era “se vinci, bene, se perdi, chiudi definitivamente con la politica”. Il resto è storia.

È stato molto interessante leggere della vita della first family, avendo accesso all’interno di essa. È stato interessante anche vedere come le cose più semplici, cose alle quali noi comuni mortali non faremmo neanche caso, possano diventare difficili se non impossibili. Come anche uscire sul balcone a bere una bibita fresca ha bisogno di organizzazione e non può essere fatto a cuor leggero.

Ho sempre ammirato gli Obama. Dopo aver letto questo libro forse li ammiro un po’ di più, perché mi ha aiutato a rendermi conto ancora di più degli oneri (e non solo degli onori) di un incarico così importante e difficile e fa capire, ancora una volta, che con l’impegno, il duro lavoro e la costanza, nessun traguardo è impossibile.

In un mondo profondamente razzista e misogino, due persone afroamericane provenienti da famiglie modeste, sono arrivati in cima al mondo, solo grazie alle loro capacità, alla loro costanza, al loro impegno. La presidenza degli Obama ha significato tantissimo, sotto una moltitudine di punti di vista. Michelle ce lo ricorda e ricorda ad ognuno di noi (soprattutto alle donne e alle minoranze) che noi e solo noi siamo fautori del nostro destino.

Leggete la storia di Michelle Robinson, poi diventata Obama, sarà illuminante.

Autore: Michelle Obama
Titolo dell’opera: Becoming. La mia Storia.
Titolo originale dell’opera: Becoming
Numero di pagine: 528
Voto: 5/5
Dove trovarlo: cartaceo, e-book, documentario Netflix

Lettera a un bambino mai nato – Oriana Fallaci

Lettera a un bambino mai nato, pubblicato per la prima volta nel 1975, è il primo libro di Oriana Fallaci che mi è capitato di leggere.

Il mio rapporto con l’autrice era sempre stato contrastato.

Sapevo bene chi fosse, sapevo che era (stata) una giornalista tra le più grandi e più impavide, che era sempre stata un’inviata di guerra e che era una donna tutta d’un pezzo, fortissima, che non abbassava la testa davanti a nessuno (celeberrima la sua intervista all’ayatollah Khomeini, in cui si spoglia del chador, definendolo “stupido cencio da medioevo”).

Una foto dell’intervista

Amo questo suo lato combattente e femminista. Ma ricordavo anche, ancora troppo vividamente, le sue parole (e le sue pubblicazioni) successive all’attentato alle Torri Gemelle del 2001. Subito dopo quell’attentato, infatti, la Fallaci aveva dato in pasto all’opinione pubblica delle dichiarazioni a dir poco infelici. Pubblicando, successivamente, alcuni testi (per esempio La rabbia e l’orgoglio) che io mi sono sempre rifiutata di leggere.

Quando comprai Lettera a un bambino mai nato, quindi, non sapevo cosa aspettarmi. Lo acquistai a scatola chiusa e iniziai a leggerlo immediatamente (cosa che in realtà non mi succede quasi mai).

La copertina del libro

Il libro tratta temi delicatissimi e, per certi versi tabù. Perfino 45 anni dopo la prima edizione di questo testo.

L’aborto, la vita, le differenze di genere sono tra i temi trattati in questo in questo libro che si potrebbe quasi definire un monologo. La protagonista, una donna di cui non sappiamo assolutamente nulla, si interroga sulla vita, su cosa significhi il dare la vita, sul quanto il dare la vita sia una scelta di responsabilità e di ciò che comporta. Perché donare la vita non significa, banalmente, solo far nascere qualcuno. Donare la vita vuol dire donare gioia, ma anche tanto dolore. Vuol dire donare la possibilità di avere delle soddisfazioni, ma anche delle mortificazioni. Perché la vita è tutt’altro che un qualcosa di semplice, è una guerra quotidiana, e chi decide di mettere al mondo una creatura deve essere consapevole che si sta donando il tutto, ma allo stesso tempo anche il niente.

È un libro che affronta e parla delle preoccupazioni, delle insicurezze, delle paure che le donne (sia sole, come nel caso della nostra protagonista, che in coppia) si trovano a dover affrontare dal momento in cui si rendono conto di essere rimaste incinte. A quelle che saranno le rinunce, i dolori, e le gioie che questo comporta.

In una società come quella moderna, dove ancora si ritiene accettabile che chiunque pensi di avere diritto di esprimere ed emettere sentenze riguardanti le donne e i loro corpi, Lettera a un bambino mai nato è un libro necessario. In una società come quella moderna in cui, proprio in questi giorni, le donne polacche si trovano a dover scendere in piazza per lottare e difendere il loro diritto alla interruzione di gravidanza, Lettera a un bambino mai nato è un libro che dovrebbe essere letto da tutti. In una società come quella moderna, in cui alle donne (e mai agli uomini) viene chiesto ai colloqui di lavoro se intende avere figli, un testo come questo è un punto di partenza per riflettere su quanto veramente significhi mettere al mondo un essere umano che non ha chiesto di essere messo al mondo e che non ha chiesto di trovarsi a dover lottare giornalmente per la sopravvivenza.

Chi conosce un po’ la vita di Oriana Fallaci, sa che anche lei (come la protagonista del nostro libro) aveva avuto alcuni anni prima un aborto spontaneo e si pensa, a ragione o meno, che questo testo abbia un qualcosa di autobiografico. La verità, però, è che Lettera a un bambino mai nato è un libro che parla di lei, di me, di te, di tutti noi. Anche degli uomini. Perché anche se è vero che un uomo difficilmente si troverà nella posizione di dover scegliere tra la famiglia e il lavoro, è anche vero che il senso di responsabilità che scaturisce dal mettere al mondo un altro essere umano è un qualcosa che tocca (o dovrebbe toccare) ognuno di noi.

Autore: Oriana Fallaci
Titolo dell’opera: Lettera a un bambino mai nato
Titolo originale dell’opera: Lettera a un bambino mai nato
Numero di pagine: 145
Voto: 5/5
Dove trovarlo: libro, audiolibro