Categoria: Saggistica

Flavio Rossi ci insegna come sconfiggere la procrastinazione

Flavio Rossi ci dà consigli su come smettere di procrastinare.

La prima cosa che si può apprendere è che il rimandare le attività che dovremmo fare è un atto di pigrizia, questo perché il nostro cervello vuole che noi stiamo bene, quindi non ci metterà mai nella situazione di dover fare qualcosa che ci metta a disagio.

In aggiunta a questa facoltà fisiologica c’è quella prettamente umana per la quale è più piacevole l’appagamento immediato, anche se piccolo, piuttosto di quello più consistente, ma lontano.

Chi è il procrastinatore?

Innanzitutto bisogna prendere coscienza di essere dei procrastinatori.

Preferisci lasciare i piatti sul lavello e lavarli al mattino, piuttosto che liberarti subito di questa incombenza?
Sei un procrastinatore!

Aspetti l’ultimo giorno per pagare una bolletta o per concludere un compito assegnato o studiare per un esame?
Oltre ad essere una persona che ama il dramma, sei un procrastinatore!

Riassumendo, se preferisci bearti della vita subito, goderti l’attimo di libertà quando invece dovresti fare qualcosa di specifico che ti impegnerebbe tempo, allora ti trovi, come me, nel divano della procrastinazione.

Non avere paura, piano piano ci si alza da questo divano e si prende consapevolezza che non si può solo godere della vita, se ci sono scadenze che vanno rispettate.

Come sconfiggere la procrastinazione?

Per poter superare la barriera dell’azione bisogna iniziare quello che dobbiamo fare. So che starai dicendo, “Semplice a dirsi”, ma il segreto vero sta tutto lì. L’ostacolo è solo iniziare qualcosa, ma troviamo delle soluzioni per facilitarci anche questo.

Per prima cosa sarebbe bene crearsi un’ambiente che invogli l’azione, magari riordinando la scrivania. Ricorda: disordine fuori porta disordine nella testa, e a noi serve concentrazione per non farci portar via dalla strada maestra del fare.

Per non perdere quindi la concentrazione bisogna evitare le distrazioni, non solo esterne come le notifiche che arrivano nel cellulare (ergo mettere silenzioso) o il campanello che suona, ma anche quei pensieri che aprono il varco della nostra mente, cose che in quel momento non servono a niente. Ho imparato che in questi casi bisognerebbe scrivere in un foglio quello che ci è venuto in mente, così da poterci pensare dopo.

Non focalizzarti solo su lavoro, lavoro, lavoro, fai delle pause programmate e premiati! Crea la tua routine. L’uomo è un essere abitudinario, e avere una routine è il modo più semplice di fare qualcosa senza che questa ci pesi perché ci verrà automatica.

Ora che vi ho svelato come iniziare a fare, fai! E non dimenticarti di premiarti quando l’hai portata a termine

Autore: Flavio Rossi
Titolo dell’opera: L’arte del fare: Come sconfiggere la procrastinazione
Numero di pagine: 97
Voto: 3/5
Dove trovarlo: cartaceo, ebook

No One is too Small to Make a Difference

Nell’agosto 2018 una giovane ragazza svedese decise di iniziare un’azione non violenta per chiedere al governo nazionale di agire in favore del clima e per sensibilizzare l’opinione pubblica in merito alla crisi climatica che ci troviamo a vivere.

Quella giovane, di nome Greta, quindi, ogni venerdì si presentava con il suo cartello “Sciopero scolastico per il clima” (Skolstrejk för klimatet) davanti al Parlamento svedese e rimaneva lì, seduta, ad aspettare.

Vedendola seduta davanti al parlamento ogni venerdì, i media cominciarono ad interessarsi a lei, alla sua storia e, soprattutto, alla sua protesta: nel mondo iniziarono a circolare i primissimi articoli su Greta e sui suoi scioperi scolastici. In poco tempo i giovani (ma non solo) di tutto il mondo trovarono in Greta la leader di un movimento destinato a crescere enormemente e a portare nuova consapevolezza delle sfide climatiche che, quasi senza saperlo, ci troviamo a dover combattere ogni giorno.

No One is too Small to Make a Difference è una raccolta di estratti di suoi discorsi tenuti in tutto il mondo e in innumerevoli occasioni.

La copertina dell’opera

Nei suoi discorsi, che scrive da sola e per i quali chiede semplicemente delle consulenze per essere sicura di non dare informazioni inesatte, Greta non ha paura di rivolgersi ai potenti del mondo, ai grandi, alle celebrità, agli influencer e a tutte le persone che avrebbero la possibilità di fare da eco alla questione ambientalista, che avrebbero la possibilità di iniziare davvero il cambiamento, ma non lo fanno per paura di risultare impopolari, perdere voti, perdere simpatie e potere.
Greta sottolinea più volte che è ben consapevole che una grande fetta degli adulti considerino i giovani del movimento Friday for Future semplicemente come dei bambini e che capisce che tanti degli adulti non abbiano voglia di ascoltare quello che dei bambini hanno da dire… ma questo non è un problema per lei, perché ciò che questi bambini stanno facendo è solo riportare quanto affermato dagli scienziati. Lo ripete spesso: non ascoltate noi, ascoltate gli scienziati!
Il nostro tempo sta scadendo, stiamo portando il nostro pianeta verso il disastro. Siamo distruggendo la possibilità di sopravvivenza per la nostra stessa specie e questo sembra non interessare nessuno. Nessuno parla abbastanza della crisi climatica, nessuno la tratta per quello che è, ovvero la più grande crisi (anche e soprattutto) umanitaria che la nostra specie si trova a dover fronteggiare.

Il testo riporta tutti i discorsi più celebri di Greta, compreso il celeberrimo “How-Dare-You-speech”, che se non ricordi, potrai vedere QUI.

Greta in sciopero davanti al parlamento svedese

Greta, che nel 2019 è stata proclamata “Person of the Year” dalla rivista Time, si è trovata molto spesso ad essere attaccata da tantissimi (anche da super portenti – tipo Trump), che ne attaccano l’aspetto, le idee, i modi in cui si batte per questi ideali.
Non capisco come questo sia possibile.
Non capisco come sia possibile scagliarsi contro una persona che ha scelto una protesta non violenta e che si batte per il futuro di ognuno di noi, che sta provando a dare voce a chi per tanto tempo non ne ha avuta.
Molti dicono che è solo una ragazzina e che è assurdo pensare che una ragazzina debba essere una leader di un movimento… ma questo non può essere un attacco rivolto a Greta, bensì un punto di inizio per riflettere sul fatto che c’è stato bisogno di un’adolescente per sensibilizzare le persone al problema climatico, perché le generazioni precedenti hanno pensato solo al tornaconto personale senza preoccuparsi delle conseguenze disastrose che alcuni comportamenti avrebbero avuto su ognuno di noi.

No One is too Small to Make a Difference è una raccolta molto interessante anche se veramente breve, a volte, per forza di cose, un po’ ripetitiva, ma sempre illuminante e attraverso la lettura di questo libricino si può trovare anche la risposta ad una delle accuse più frequesti mosse a Greta, ovvero quanto sia pilotata dalla sua famiglia: ebbene, i suoi genitori non erano affatto d’accordo con i suoi scioperi e il suo estremo impegno e attivismo ambientalista, ma le hanno dato la possibilità di scegliere se continuare (facendo affidamento solo sulle sue forze) o smettere.
La sua scelta di continuare è già storia.

Autore: Greta Thunberg
Titolo dell’opera: Nessuno è troppo piccolo per fare la differenza
Titolo originale dell’opera: No One is too Small to Make a Difference
Numero di pagine: 106
Voto: 4/5
Dove trovarlo: cartaceo (ITA), cartaceo (EN), ebook (ITA), ebook (EN)

Chernobyl 01:23:40

Chi mi conosce sa che sono una persona afflitta dalle ansie ma che senza di loro non saprebbe come vivere. Questo vuol dire che anche in momenti in cui potrei pensare di sentirmi un po’ più tranquilla e serena, questa sensazione non può durare per molto e, nel caso in cui non ci siano cause esterne a mirare il mio già difficile equilibrio, allora sarò io personalmente a cercare e trovare accuratamente un qualche motivo per far tornare al suo posto quella sensazione di inquietudine che mi accompagna da sempre.

Chernobyl 01:23:40 mi è stato regalato alcuni mesi fa da una delle mie più care amiche che, non so perché, si trovava in un momento di pazzia ed aveva deciso di leggere questo libro, ma voleva lo leggessimo insieme. Per mesi questo libricino è rimasto nella mia libreria, senza che né io né lui sentissimo l’esigenza di conoscerci meglio, finché un paio di settimane fa, per qualche motivo a me ignoto, ho sentito l’ispirazione di leggerlo.

La copertina del libro

Il libro è interessantissimo e, credo, il titolo sia abbastanza esplicativo del tema trattato: la prima parte tratta infatti dell’esposizione (nel modo più semplice possibile, a detta dell’autore) dei fatti mentre la seconda parte descrive il suo viaggio a Pripyat (città sede della centrale nucleare, poi divenuta fantasma a seguito del disastro e dell’evacuazione della città da parte dei cittadini – QUI potrai ascoltare l’annuncio di evacuazione del 27 aprile. Chiaramente è in russo, ma resta comunque molto interessante).

Il disastro nucleare di Chernobyl è quella tragedia da cui tutti ci sentiamo toccati e che tutti sentiamo di aver vissuto in qualche modo, anche se alcuni di noi non erano neanche nati all’epoca dei fatti. Io sono tra quelle persone che quel 26 aprile 1986 dovevano ancora nascere, eppure non sento questa tragedia come qualcosa di lontano da me… sia perché la vicinanza temporale è quella che è (sono nata nel marzo del 1987) ma anche perché è un evento che ha significato in un certo senso un punto di non ritorno in merito all’idea che molti di noi si sono fatti dell’energia nucleare, del suo utilizzo, della necessità del suo utilizzo e dei rischi che comporta.

Nel libro ci vengono raccontati anche alcuni incidenti precedenti a quello di Chernobyl, alcuni negli USA, altri in Gran Bretagna. Ma l’incidente di Chernobyl, insieme a quello di Fukushima del 2011, è considerato il più grande incidente della storia nucleare civile. Nella scala INES, utilizzata per classificare questo tipo di incidenti, infatti, sia Chernobyl che Fukushima sono classificati al settimo livello, quello più alto.

Non nego che la lettura di questo libro è stata inquietante: è stata dura pensare che, più o meno tutti, viviamo in luoghi che potrebbero essere una sorta di bomba ad orologeria. È comunque bene tenere presente che, sebbene l’energia nucleare potrebbe essere devastante, in potenza, è anche vero che, stando ad alcuni studi (citati anche nel libro), la produzione di energia nucleare resta comunque il metodo meno nocivo. Strano, certo, ma sembra essere così.

Si potrebbe quasi fare un’analogia con i viaggi in aereo (e lo dice una che, ovviamente, ha paura di volare!): anche se gli incidenti aerei sono nella maggioranza dei casi catastrofici, è anche vero che l’aereo resta il mezzo di trasporto più sicuro di tutti.

Gli altri sentimenti che proverete nel leggere questo libro, se deciderete di farlo, saranno incredulità e rabbia: non si può provare altro nel rendersi conto di come il malgoverno, più interessato al risparmio che alla messa in sicurezza dell’impianto così da poter assicurare la salvaguardia e il benessere dei propri impiegati e cittadini, la più totale noncuranza nell’ignorare incidenti precedenti e gli errori umani hanno fatto sì che questa catastrofe si verificasse.

Ricordo un intervento della Cancelliera Merkel di qualche anno fa in cui diceva che dopo Fukushima aveva cambiato idea sull’energia elettrica. I disastri di Chernobyl e di Fukushima hanno effettivamente cambiato il punto di vista dell’opinione pubblica in materia e, ad esempio, la Germania si è impegnata ad abbandonare il nucleare entro il 2022.

Chernobyl 01:23:40 è un libro molto interessante, sicuramente non il testo che vi insegnerà e svelerà ogni segreto del disastro di Chernobyl, né del nucleare o delle centrali e del loro funzionamento, ma aiuterà a farsi un’idea rispetto a come non andrebbero gestite delle centrali nucleari e di quanto la sicurezza e la salute della popolazione dovrebbero essere delle priorità per chi ha l’onore (e l’onere) di governarci.

Autore: Andrew Leatherbarrow
Titolo dell’opera: Chernobyl 01:23:40
Titolo originale dell’opera: Chernobyl 01:23:40
Numero di pagine: 263
Voto: 3/5
Dove trovarlo: cartaceo, ebook, audiolibro

Guida cinica alla cellulite

Nessuna donna si sente perfetta, sicuramente neppure le modelle bellissime di Victoria Secret. Tutte allo specchio vediamo i nostri difetti e il più grande è la cellulite, quei buchini sulla pelle di fianchi, cosce e sedere.

Nella ricerca continua di un rimedio a questi inestetismi compriamo creme, ci affidiamo a mani che riteniamo esperte di estetiste per farci fare massaggi e subire gli effetti di quelle strane macchine sul nostro corpo.

Cristina Fogazzi con cinismo e umorismo ci descrive senza mezzi termini che cosa è e soprattutto cosa non è la cellulite. Ad esempio i buchi che vediamo quando stringiamo il sedere, non è cellulite, bensì i tendini.

La nuova copertina

L’estetista cinica ci spiega come vivere la cellulite

Innanzitutto l’autrice del libro Cristina Fogazzi spiega cosa è il grasso. Io non sapevo che durante la giovinezza le cellule di grasso, chiamate adipociti, crescono in numero rispetto a quanto siamo dei bambini paffutelli o magri. Quindi è in giovane età che si decide il grasso corporeo che probabilmente avremo da adulti.

Quando ingrassiamo gli adipociti diventano più grandi e quando dimagriamo si riducono.

La cellulite è “una malattia del pannicolo adiposo sottocutaneo” il suo nome scientifico è Pannicolopatia Edemato Fibro Sclerotica. Un nome terribile che tutte le donne pensano di avere, ma non tutte hanno. Cristina Fogazzi in questa guida cinica ci aiuta a capire come riconoscerla e come attenuarla.

La cellulite è provocata dalla cattiva circolazione; infatti molte donne soffrono di piedi e gambe perennemente fredde, sono per questo quelle più soggette a questo inestetismo.

Non sempre quello che crediamo essere cellulite lo è davvero. Con il passare degli anni, il poco sport o a causa del dimagrimento la pelle perde tonicità creando dei buchi che potrebbero sembrare cellulite, ma in realtà non lo sono.

Ci sono quattro stadi della cellulite, in base alla gravità:

  • stadio 1: la semplice ritenzione idrica;
  • stadio 2: la buccia d’arancia;
  • stadio 3: quando la buccia d’arancia si accompagna a dei buchetti;
  • stadio 4: la cellulite senza alcun dubbio con buchi visibili e pelle flaccida.
La vecchia copertina

Quello che ho imparata dalla Guida cinica alla cellulite

Una cosa che per me è cambiata da quando ho letto questo libro tre anni fa è la camminata, infatti da allora ad ogni passo che faccio mi premuro di puntare il tallone e rollare il piede fino alla punta. Se prima dovevo pensarci, ora è un’abitudine che aiuta il sangue a sconfiggere la forza di gravità.

Ho imparato che le creme anticellulite non funzionano, perché la nostra pelle ha uno schermo che ci protegge e quindi non lascia passare neppure i prodotti che dovrebbe “sciogliere” quei brutti inestetismi. Se comunque esistono alcuni prodotti che possono aiutare hanno un costo estremamente alto, perché le creme anticellulite da profumeria o supermercato non possiedono abbastanza prodotto agente per aiutare veramente.

Ho soprattutto potuto apprezzare il fatto di non possedere le inguardabili culotte de cheval!

Autore: Cristina Fogazzi e dott. Enrico Motta
Titolo dell’opera: Guida cinica alla cellulite
Numero di pagine: 223
Voto: 4/5
Dove trovarlo: Kindle, libro.

Piccolo viaggio nell’anima tedesca

Questo saggio è un piccolo tesoro per tutte le persone che studiano e amano il tedesco. Questa lingua è così ostica che per impararla veramente bisogna amarla sul serio. Famosa è la frase di Richard Porson La vita è troppo breve per imparare il tedesco“.

La si può leggere con due significati:
– il tedesco è troppo difficile per poterlo imparare in una sola vita;
– non sprecare la tua vita ad imparare una lingua come il tedesco.

Io amo il tedesco quindi per me questo libricino è un vero viaggio nell’anima tedesca perché questa lingua ha delle parole che in italiano non abbiamo e che vivendo qui e conoscendo il tedesco, quando parlo la mia lingua madre mi mancano.

Nel libro viene spiegato il significato di 15 parole che in italiano non hanno una diretta traduzione, ma possono essere tradotte con una frase. In aggiunta le autrici descrivono da dove derivano alcune di queste parole. L’esempio più lampante è Nestbeschmutzer, ossia essere che sporca il proprio nido, termine usato come appellativo di Marlene Dietrich, che durante la seconda guerra mondiale ha parteggiato per gli americani, e di Willy Brandt, che si inginocchiò nel ghetto di Varsavia per chiedere scusa per i crimini nazisti.

Weltanschauung

Weltanschauung è un termine e una concezione filosofica. Cercando nel dizionario si legge: “Concezione del mondo, della vita, e della posizione in esso occupata dall’uomo”, ma in realtà è molto di più, ha un significato per i tedeschi filosofi molto più profondo e onnicomprensivo.
Si trova nel nostro dizionario con la parola tedesca non tradotta perché il significato è così specifico che non è possibile tradurlo. Questo succede anche per altre termini, quello che mi viene in mente è Leitmotiv, motivo conduttore, utilizzato spesso in critica letteraria, e spesso pronunciato male.

Schadenfreude

Non esiste una vera e propria traduzione italiana, potremmo tradurre Schadenfreude con: gioire per le disgrazie altrui.
Sicuramente è un sentimento che chiunque nel mondo prova, ma solo i tedeschi hanno deciso di dargli un riconoscimento nel vocabolario.

Zweisamkeit

In tutti le società esiste la solitudine (Einsamkeit), in tedesco ci si può isolare in coppia, e quando succede lo si può indicare con la parola Zweisamkeit. Questa parola è infatti composta da Zwei, che significa due e da Einsamkeit, appunto solitudine.
Trovo che ci sia qualcosa di poetico nel solo concetto si isolarsi, ma di non essere solo in quell’isola, ma trovarsi lì con una persona, la quale è l’unica che si accetta nella propria solitudine.

Feierabend

Mai andare in un negozio tedesco quando si avvicina l’orario di chiusura, ossia la Feierabend. Composta dalla parola Feier, ossia festa, e Abend, che significa sera. Letteralmente sarebbe la festa della sera, quindi la gioia che si ha quando si chiude il negozio e si torna a casa dopo una giornata di lavoro.
La gioia nel ricevere e augurare il “Schönen Feierabend” quando si termina o si sta per terminare il lavoro è irripetibile in italiano. Nessuno ti dirà “Buon fine lavoro” o “Buon stacco”, noi ci limitiamo a dirci un pacato “A domani”, quasi come se la nostra vita sia solo un continuo lavoro, fine lavoro, ripresa lavoro. Invece dicendo “Buon dopo lavoro” questo presuppone che tu dopo aver faticato abbia un momento per te.

Mitläufer

Mitläufer potrebbe essere tradotto in italiano con connivente. Letteralmente significherebbe camminare assieme. Dalla Seconda Guerra Mondiale il Mitläufer è sembrato essere un personaggio tipicamente tedesco, quello che, finito il Reich, ha dichiarato di aver commesso crimini di guerra perché cos’altro avrebbero potuto fare in quell’occasione?
Stessa cosa successe durante la DDR, Repubblica Democratica Tedesca, quando molte persone “normali” divennero informatori del governo, solo per poter sopravvivere e avere una vita migliore, o almeno non subire problemi e vivere tranquilli.

Zeitgeist

Lo spirito del tempo è la migliore traduzione per Zeitgeist, questa parola è comunque un po’ difficile da descrivere. Potremmo pensare a questo spirito come ad un sentimento comune, di tutta la popolazione. La durata è di una generazione circa e in questo periodo, nel quale le generazioni si succedono velocissime, lo spirito cambia di continuo.
Se i figli di chi ha fatto la guerra guardavano i propri genitori con diffidenza, chiedendosi se non fossero stati anche loro autori dello sterminio, ora i nipoti degli allora nazisti, o presunti tali, non riescono a vedere nel sorriso del nonno gli orrori del passato.
Se non si riesce a pensare a questo personalmente, si è riusciti dopo 50 anni circa ad interiorizzarlo come colpa del popolo.

Autore: Vanna Vannuccini e Francesca Predazzi
Titolo dell’opera: Piccolo viaggio nell’anima tedesca
Numero di pagine: 135
Voto: 4/5
Dove trovarlo: libro

Ave Mary, e la Chiesa inventò la donna della Murgia

Sebbene io sia sarda, il mio rapporto con la Sardegna e con la letteratura sarda nello specifico è di diffidenza. Forse per colpa di Gavino Ledda e del suo libro Padre padrone che svela cose dei pastori che è meglio rimangano sulle montagne.

Michela Murgia è famosa per i suoi romanzi – Accabadora in primis – ma questo saggio è il primo che me l’ha fatta conoscere come autrice circa sei anni fa. Non ricordo perché lo comprai, ma il tema della Chiesa e la donna mi interessava e interessa tuttora.

La Murgia è cattolica e ha frequentato l’azione cattolica diventandone anche educatrice e animatrice e ha una laurea in Scienze religiose. Quindi una persona che la Chiesa e i suoi insegnamenti li conosce molto bene.

Come nasce Ave Mary?

Questo libro nasce come risposta alle donne che frequentano la chiesa. L’8 marzo 2009 viene invitata ad intervenire ad un convegno dal titolo Donne e Chiesa: un risarcimento possibile? nel paese di Austis assieme a due dottoresse teologhe che, a dire della Murgia stessa, hanno sicuramente più voce in capitolo di lei riguardo questi temi.

Gli interventi della sindaca Lucia Chessa, che invitò la scrittrice, e delle teologhe Marinella Perroni e Cristina Simonelli raccontarono come la Chiesa negli anni ha maltrattato la donna elencando le varie mancanze nei confronti del genere femminile e portando ad argomento esempi quale l’Inquisizione e le streghe messe al rogo.

L’intervento di Michela Murgia, a differenza di quelli precedenti, aveva un tono molto più pratico. Infatti raccontò la propria esperienza di ragazzina e donna a contatto con la Chiesa, riprendendo gli argomenti delle mancanze esposte precedentemente, che con esempi pratici, nei quali anche le donne presenti si potessero identificare.

All’incontro era presente anche il giovane prete che al termine dei quattro interventi ha voluto sottolineare come nella sua Parrocchia le donne erano tenute in conto senza mancanze alcune. A quel punto dal pubblico una donna trova il coraggio di dire: “Per pulire, Don Marco!”
Da questo momento tutte le donne, che prima ascoltavano impassibili, si sono sfogate. Ed è proprio per queste donne che Michela Murgia ha scritto Ave Mary, per farci capire che quello che viviamo tutti i giorni è un’eredità degli anni passati, difficile sicuramente da scrollarci di dosso, ma sui social la scrittrice sarda porta avanti la sua battaglia senza temere nulla, ed è un piacere seguirla!

Quello che ho imparato da Ave Mary

La Mater Dolorosa

Gesù che muore sulla croce rappresenta i patimenti dell’uomo come genere maschile e non come comunità di persone. La donna è sempre rappresentata come dolente e non viene mai rappresentata la morte femminile. Se si pensa alla morte di Maria si parla in realtà sempre di un’ascensione, non si pensa mai al suo corpo senza vita.

Non abbiamo una rappresentazione della morte delle donne, ma sempre della loro sofferenza, la Mater Dolorosa. Tutti conosciamo il passo della Genesi dove Dio punisce Adamo ed Eva: lui dovrà lavorare con sudore e lei partorire con dolore. Alla donna capita una punizione ulteriore data dal dolore fisico, mentre l’uomo se la cava solo faticando.

Da questa punizione della Genesi si sviluppa un argomento ancora interessante, che è ben radicato ancora oggi, delle donne che non hanno figli, quindi che non hanno partorito e che non avendo sofferto durante il parto si sono sottratte a questa punizione divina. Da questo punto ci si collega alla medicina e all’invenzione dell’epidurale, che toglie alla donna il dolore che Dio invece le ha riservato. Questo argomento scaturì un lungo dibattito teologico se privare la donna del dolore fisico del parto fosse giusto o meno. Come sempre un gruppo di uomini che si permette di decidere cosa una donna deve fare con il proprio corpo, sia questa credente o meno.

La fuitina

Una cosa che mi ha scioccata non poco è stato scoprire che la fuitina, conosciuta come la fuga di due innamorati, la cui unione non è accettata dalle famiglie (dei Romeo e Giulietta reali), per unirsi di legalmente e fare ritorno in paese con un legame indissolubile. Leggendo Ave Mary, Michela Murgia racconta come la fuitina non sia altro che un matrimonio riparatore di uno stupro.

Non metto in dubbio che qualcuno sia scappato per amore, ma da quanto è stato scritto in questo saggio capitava molto spesso che una donna venisse violentata e per nascondere il fatto e la vergogna che ne deriva, i due giovani venivano fatti sposare in accordo tra le due famiglie.

Questo libro è pieno di temi interessanti, ai quali non ci si sofferma abbastanza per provare a creare una propria idea perché ormai fanno parte di noi e della nostra società. Quando c’è chi mette in discussione l’ordine generale delle cose è però sempre bene leggerlo per sentire la controparte, si può comunque imparare qualcosa di nuovo.

Grazie Michela Murgia per Ave Mary, lo custodirò gelosamente e consiglierò quanto posso!

Autore: Michela Murgia
Titolo dell’opera: Ave Mary
Numero di pagine: 159
Voto: 5/5
Dove trovarlo:

I giustizieri della rete, ovvero le shitstorm

Tempo fa avevo sentito parlare del libro So You’ve Been Publicly Shamed di Jon Ronson che mi ha subito affascinato. Lo scrittore intervista persone che hanno fatto una mossa falsa su internet e per questo sono state ricoperte di insulti sulla rete e sono state cancellate dalla società.

Cosa sono le Shitstorm?

La parola shitstorm è traducibile in italiano letteralmente con “tempesta di merda”. In internet si utilizza questo termine per identificare la pratica poco felice degli utenti di insultare chi, a loro parere, ha commesso un passo falso. I passi falsi possono essere:

  • la pubblicazione di un tweet o post con un’opinione molto discutibile;
  • la pubblicazione di una foto con qualcosa di offensivo per la community;
  • il repost di un meme offensivo e/o razzista;
  • la pubblicazione di stories su instagram di dubbio gusto;
  • la pubblicazione di video su youtube con opinioni o comportamenti estremamente discutibili;
  • la testimonianza di un altro utente che riporta il comportamento incoerente o sbagliato di un altro influencer.

Nel caso di una di queste pubblicazioni gli utenti della community, che in qualche modo si sono sentiti toccati e offesi da questi fatti, si scagliano contro il content creator riempiendolo di insulti che tutti assieme fanno sentire la persona in una vera e propria “tempesta di merda”.

La copertina americana

So You’ve Been Publicly Shamed – il caso del Tweet razzista di Justine Sacco

Nel saggio So You’ve Been Publicly Shamed Jon Ronson intervista persone con una vita normale che a causa di un tweet o una foto postata su un social media hanno perso il lavoro e la loro vita sociale.
Il caso più noto è quello di Justin Sacco che postò un tweet prima di prendere un volo dall’Inghilterra al Sudafrica e che arrivata a destinazione ha ricevuto migliaia di notifiche e la lettera di licenziamento del suo datore di lavoro.

Going to Africa. Hope I don’t get AIDS. Just kidding. I’m white!

I tweet die Justin Sacco del 20 dicembre 2013

Il tweet razzista significa: “Sto andando in Africa. Spero di non prendere l’AIDS. Sto scherzando. Sono bianca!”. Justine aveva solo 170 followers, ma fra quelli che ripostarono il suo tweet c’era chi tra i propri followers aveva una persona indignata con molti seguaci e da qui la popolarità della Sacco impennò.

Il tweet razzista fu preceduto da altri due commenti stereotipati verso il poco igiene dei tedeschi e i denti poco curati degli inglesi. Se volessimo scusare il parere ignorante contro l’AIDS in Africa, pensando ad un caso sfortunato, i precedenti tweets non hanno lasciato alcun dubbio a chi ha considerato Justin Sacco razzista.

Il fermento sul web fu così tanto che fu addirittura creato l’hashtag #hasjustinelandedyet (è già atterrata Justine) e ci fu anche chi l’aspettava a Cape Town per fotografarla.

Alla cancellazione del tweet non ha aiutato, perché la prima regola di internet è che uno screenshot dura per sempre.

La copertina italiana

La cancel culture

L’America è famosa per non perdonare alcun comportamento sociale ritenuto sbagliato. Nei fatti di cronaca come nelle serie vediamo ragazzi sospesi da scuola per aver sbagliato al di fuori dell’orario di scuola o persone licenziate perché hanno avuto comportamenti poco in linea con i valori della società dove lavorano, dopo aver firmato il cartellino di uscita.

Diciamo che l’America osserva, non perdona e possibilmente ti cancella.

Lo stesso trattamento è riservato a persone famose che sbagliano. Alcuni esempi sono attori ai quali viene tolta una parte alla quale lavorano da anni, influencers ai quali viene tolta una partership.

Se questo sia giusto o no, non è in questo caso in discussione, certo è in alcuni casi si potrebbe permettere un percorso di redenzione.

La soluzione per il ritorno alla normalità

Jon Ronson intervista anche una società che aiuta queste persone che hanno la vita rovinata da internet a trovare pace.

Se pensi che avere la vita rovinata da internet possa sembrare troppo forte come affermazione, devi pensare che durante un qualsiasi colloquio è norma fare una ricerca su Google per vedere chi sia la persona veramente. In realtà questa ricerca viene fatta anche in ambiti molto più innocui, come tra amici o colleghi.

Se alla ricerca di Justin Sacco compariranno solo commenti e informationi al suo tweet razzista, l’agenzia intervistata da Ronson sarà in grado di creare nuove pagine di ricerca a tuo nome e piazzarle alle prime pagine di Google, in modo da nascondere i risultati peggiori su di te nelle pagine di ricerca meno visualizzate dagli utenti. Tutto questo grazie ad un lavoro di Web Master e SEO Manager.

Quindi stai sempre attento a quello che pubblichi su internet. Pensa sempre due, tre volte prima di postare davvero qualcosa. Fermo restando che non si potrà mai accontentare tutti, io ti consiglio di non esporre mai un tuo parere su politica, religione e aspetto fisico altrui. Per tutti il resto, se non scrivi stereotipando qualcuno, dovresti essere salvo dalle shitstorm!

Autore: Jon Ronson
Titolo dell’opera: I giustizieri della rete
Titolo originale dell’opera: So You’ve Been Publicly Shamed
Numero di pagine: 321
Voto: 5/5
Dove trovarlo: libro originale, ebook originale, libro in italiano, ebook in italiano

Se niente importa… Una riflessione.

Da qualche tempo a questa parte, già molto prima che la pandemia Covid-19 ci mettesse di fronte alla vera fragilità del nostro pianeta, della nostra salute e delle nostre convinzioni , mi ero ritrovata a riflettere sulla probabilità di provare a cambiare le mie abitudini alimentari, per cercare di eliminare completamente il consumo di carne e pesce dalla mia dieta.

L’alimentazione, ma più precisamente il piacere derivante dal mangiare un qualcosa di appetitoso, è un elemento centrale della vita di ognuno di noi e per questo, ogni tentativo di cambiare certe abitudini con le quali nasciamo, cresciamo e diventiamo adulti diventa incredibilmente difficile, se non troviamo qualcosa che, per noi e per la nostra sensibilità, ci spinge a fare un passo che non sempre sarà semplice non rimpiangere.

Ad inizio maggio, quando ancora ci sembrava di vivere in un racconto distopico, ho iniziato a leggere il saggio di Jonathan Safran Foer intitolato Se niente importa. Perché mangiamo gli animali? e mi sono resa conto che era la sveglia o, per meglio dire, la terapia d’urto di cui avevo bisogno.

Il saggio riporta molti dei dati (anche dell’OMS) raccolti dall’autore in tre anni di ricerche, interviste ad attivisti animalisti e allevatori e riflessioni sull’eticità delle nostre scelte alimentari.

Il quadro che ne esce è nella stragrande maggioranza dei casi totalmente sconcertante: il maltrattamento inaudito nei confronti di animali fatti nascere e crescere in modo totalmente meccanico, a cui viene tolta la possibilità di avere uno spazio entro il quale muoversi, a cui viene tolta la possibilità di vedere la luce del sole, a cui viene tolta la possibilità di poter essere sani – essendo costantemente imbottiti di medicinali che velocizzano la loro crescita ma ne annullano il sistema immunitario -, a cui viene tolta la possibilità di vivere.

Animali annullati della loro dignità e della loro forza, animali vivi costretti in spazi strettissimi insieme ad altri animali malati o morti o in putrefazione. Un covo di potenziali batteri che causano malattie mortali che non aspetta altro di diffondersi in più organismi possibili, tra cui quello umano, attraverso lo spillover, ovvero il salto di specie.

Ci ricorda qualcosa?

L’autore ci porta con sé e ci fa vedere, attraverso i suoi occhi, quello che vede lui quando, insieme ad un’attivista per i diritti degli animali, ci fa intrufolare in un allevamento intensivo, in piena notte, rischiando la pelle per il semplice fatto di essere lì. Perché riuscire ad avere il permesso di visitare un allevamento intensivo, semplicemente, è impossibile. Ci viene raccontato di come i governi si impegnino falsamente per garantire agli animali la dignità che meriterebbero, e ci viene raccontato di come i pezzi da novanta dell’industria agroalimentare siano invischiati fino ai capelli con la politica e di quanto siano troppo potenti per poter pensare di fare qualsiasi cosa per fermarli o per, almeno, imporgli di adottare dei metodi di macellazione dignitosi e che non infliggano sofferenze sadiche e crudele agli animali.

Il libro è stato pubblicato nel 2009 e leggerlo nel bel mezzo di un lockdown indetto per provare a contenere una pandemia diffusasi da un wet market di Wuhan mi è sembrato quasi uno scherzo di pessimo gusto fattomi dal destino, perché leggere in un libro di 11 anni fa delle ricerche e dati pubblicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e vedere quanto fosse chiaro allora (e chissà da quanto tempo prima) che la situazione sanitaria mondiale era una bomba ad orologeria destinata a scoppiare da un momento all’altro, perché lo sfruttamento degli animali, l’allevamento intensivo, la mancanza di norme igieniche avrebbero finito col portare allo scoppiare di una nuova ed incontrollabile malattia, fa rabbia. Ma anche tanta tristezza.

Il titolo in italiano dell’opera, prende spunto da una conversazione avuta in gioventù dall’autore con sua nonna, sopravvissuta all’Olocausto che gli raccontava che una volta fuori dal campo di concentramento, un contadino russo le aveva offerto un pezzo di carne di maiale che lei, nonostante la fame, rifiutò perché non kosher, perché se niente importa, non c’è niente da salvare.

Voglio concludere questo articolo con la riflessione che, forse, più di tutto mi ha colpita durante la lettura e che più di tutto mi ha spinta a prendere una decisione che è mia e che non imporrei comunque ad altri: il piacere che noi proviamo nel mangiare carne e/o pesce, giustifica tutte le sofferenze che infliggiamo agli animali? Cinque minuti di nostro piacere giustificano intere vite di privazioni, maltrattamenti e dolore come quelle che riserviamo agli animali? Secondo me no. Tu, invece, cosa ne pensi?

La copertina dell’opera
Autore: Jonathan Safran Foer
Titolo dell’opera: Se niente importa. Perché mangiamo gli animali?
Titolo originale dell’opera: Eating Animals
Numero di pagine: 363
Voto: 5/5
Dove trovarlo: libro, ebook, audiolibro