Categoria: Letture in pandemia

Chernobyl 01:23:40

Chi mi conosce sa che sono una persona afflitta dalle ansie ma che senza di loro non saprebbe come vivere. Questo vuol dire che anche in momenti in cui potrei pensare di sentirmi un po’ più tranquilla e serena, questa sensazione non può durare per molto e, nel caso in cui non ci siano cause esterne a mirare il mio già difficile equilibrio, allora sarò io personalmente a cercare e trovare accuratamente un qualche motivo per far tornare al suo posto quella sensazione di inquietudine che mi accompagna da sempre.

Chernobyl 01:23:40 mi è stato regalato alcuni mesi fa da una delle mie più care amiche che, non so perché, si trovava in un momento di pazzia ed aveva deciso di leggere questo libro, ma voleva lo leggessimo insieme. Per mesi questo libricino è rimasto nella mia libreria, senza che né io né lui sentissimo l’esigenza di conoscerci meglio, finché un paio di settimane fa, per qualche motivo a me ignoto, ho sentito l’ispirazione di leggerlo.

La copertina del libro

Il libro è interessantissimo e, credo, il titolo sia abbastanza esplicativo del tema trattato: la prima parte tratta infatti dell’esposizione (nel modo più semplice possibile, a detta dell’autore) dei fatti mentre la seconda parte descrive il suo viaggio a Pripyat (città sede della centrale nucleare, poi divenuta fantasma a seguito del disastro e dell’evacuazione della città da parte dei cittadini – QUI potrai ascoltare l’annuncio di evacuazione del 27 aprile. Chiaramente è in russo, ma resta comunque molto interessante).

Il disastro nucleare di Chernobyl è quella tragedia da cui tutti ci sentiamo toccati e che tutti sentiamo di aver vissuto in qualche modo, anche se alcuni di noi non erano neanche nati all’epoca dei fatti. Io sono tra quelle persone che quel 26 aprile 1986 dovevano ancora nascere, eppure non sento questa tragedia come qualcosa di lontano da me… sia perché la vicinanza temporale è quella che è (sono nata nel marzo del 1987) ma anche perché è un evento che ha significato in un certo senso un punto di non ritorno in merito all’idea che molti di noi si sono fatti dell’energia nucleare, del suo utilizzo, della necessità del suo utilizzo e dei rischi che comporta.

Nel libro ci vengono raccontati anche alcuni incidenti precedenti a quello di Chernobyl, alcuni negli USA, altri in Gran Bretagna. Ma l’incidente di Chernobyl, insieme a quello di Fukushima del 2011, è considerato il più grande incidente della storia nucleare civile. Nella scala INES, utilizzata per classificare questo tipo di incidenti, infatti, sia Chernobyl che Fukushima sono classificati al settimo livello, quello più alto.

Non nego che la lettura di questo libro è stata inquietante: è stata dura pensare che, più o meno tutti, viviamo in luoghi che potrebbero essere una sorta di bomba ad orologeria. È comunque bene tenere presente che, sebbene l’energia nucleare potrebbe essere devastante, in potenza, è anche vero che, stando ad alcuni studi (citati anche nel libro), la produzione di energia nucleare resta comunque il metodo meno nocivo. Strano, certo, ma sembra essere così.

Si potrebbe quasi fare un’analogia con i viaggi in aereo (e lo dice una che, ovviamente, ha paura di volare!): anche se gli incidenti aerei sono nella maggioranza dei casi catastrofici, è anche vero che l’aereo resta il mezzo di trasporto più sicuro di tutti.

Gli altri sentimenti che proverete nel leggere questo libro, se deciderete di farlo, saranno incredulità e rabbia: non si può provare altro nel rendersi conto di come il malgoverno, più interessato al risparmio che alla messa in sicurezza dell’impianto così da poter assicurare la salvaguardia e il benessere dei propri impiegati e cittadini, la più totale noncuranza nell’ignorare incidenti precedenti e gli errori umani hanno fatto sì che questa catastrofe si verificasse.

Ricordo un intervento della Cancelliera Merkel di qualche anno fa in cui diceva che dopo Fukushima aveva cambiato idea sull’energia elettrica. I disastri di Chernobyl e di Fukushima hanno effettivamente cambiato il punto di vista dell’opinione pubblica in materia e, ad esempio, la Germania si è impegnata ad abbandonare il nucleare entro il 2022.

Chernobyl 01:23:40 è un libro molto interessante, sicuramente non il testo che vi insegnerà e svelerà ogni segreto del disastro di Chernobyl, né del nucleare o delle centrali e del loro funzionamento, ma aiuterà a farsi un’idea rispetto a come non andrebbero gestite delle centrali nucleari e di quanto la sicurezza e la salute della popolazione dovrebbero essere delle priorità per chi ha l’onore (e l’onere) di governarci.

Autore: Andrew Leatherbarrow
Titolo dell’opera: Chernobyl 01:23:40
Titolo originale dell’opera: Chernobyl 01:23:40
Numero di pagine: 263
Voto: 3/5
Dove trovarlo: cartaceo, ebook, audiolibro

Se niente importa… Una riflessione.

Da qualche tempo a questa parte, già molto prima che la pandemia Covid-19 ci mettesse di fronte alla vera fragilità del nostro pianeta, della nostra salute e delle nostre convinzioni , mi ero ritrovata a riflettere sulla probabilità di provare a cambiare le mie abitudini alimentari, per cercare di eliminare completamente il consumo di carne e pesce dalla mia dieta.

L’alimentazione, ma più precisamente il piacere derivante dal mangiare un qualcosa di appetitoso, è un elemento centrale della vita di ognuno di noi e per questo, ogni tentativo di cambiare certe abitudini con le quali nasciamo, cresciamo e diventiamo adulti diventa incredibilmente difficile, se non troviamo qualcosa che, per noi e per la nostra sensibilità, ci spinge a fare un passo che non sempre sarà semplice non rimpiangere.

Ad inizio maggio, quando ancora ci sembrava di vivere in un racconto distopico, ho iniziato a leggere il saggio di Jonathan Safran Foer intitolato Se niente importa. Perché mangiamo gli animali? e mi sono resa conto che era la sveglia o, per meglio dire, la terapia d’urto di cui avevo bisogno.

Il saggio riporta molti dei dati (anche dell’OMS) raccolti dall’autore in tre anni di ricerche, interviste ad attivisti animalisti e allevatori e riflessioni sull’eticità delle nostre scelte alimentari.

Il quadro che ne esce è nella stragrande maggioranza dei casi totalmente sconcertante: il maltrattamento inaudito nei confronti di animali fatti nascere e crescere in modo totalmente meccanico, a cui viene tolta la possibilità di avere uno spazio entro il quale muoversi, a cui viene tolta la possibilità di vedere la luce del sole, a cui viene tolta la possibilità di poter essere sani – essendo costantemente imbottiti di medicinali che velocizzano la loro crescita ma ne annullano il sistema immunitario -, a cui viene tolta la possibilità di vivere.

Animali annullati della loro dignità e della loro forza, animali vivi costretti in spazi strettissimi insieme ad altri animali malati o morti o in putrefazione. Un covo di potenziali batteri che causano malattie mortali che non aspetta altro di diffondersi in più organismi possibili, tra cui quello umano, attraverso lo spillover, ovvero il salto di specie.

Ci ricorda qualcosa?

L’autore ci porta con sé e ci fa vedere, attraverso i suoi occhi, quello che vede lui quando, insieme ad un’attivista per i diritti degli animali, ci fa intrufolare in un allevamento intensivo, in piena notte, rischiando la pelle per il semplice fatto di essere lì. Perché riuscire ad avere il permesso di visitare un allevamento intensivo, semplicemente, è impossibile. Ci viene raccontato di come i governi si impegnino falsamente per garantire agli animali la dignità che meriterebbero, e ci viene raccontato di come i pezzi da novanta dell’industria agroalimentare siano invischiati fino ai capelli con la politica e di quanto siano troppo potenti per poter pensare di fare qualsiasi cosa per fermarli o per, almeno, imporgli di adottare dei metodi di macellazione dignitosi e che non infliggano sofferenze sadiche e crudele agli animali.

Il libro è stato pubblicato nel 2009 e leggerlo nel bel mezzo di un lockdown indetto per provare a contenere una pandemia diffusasi da un wet market di Wuhan mi è sembrato quasi uno scherzo di pessimo gusto fattomi dal destino, perché leggere in un libro di 11 anni fa delle ricerche e dati pubblicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e vedere quanto fosse chiaro allora (e chissà da quanto tempo prima) che la situazione sanitaria mondiale era una bomba ad orologeria destinata a scoppiare da un momento all’altro, perché lo sfruttamento degli animali, l’allevamento intensivo, la mancanza di norme igieniche avrebbero finito col portare allo scoppiare di una nuova ed incontrollabile malattia, fa rabbia. Ma anche tanta tristezza.

Il titolo in italiano dell’opera, prende spunto da una conversazione avuta in gioventù dall’autore con sua nonna, sopravvissuta all’Olocausto che gli raccontava che una volta fuori dal campo di concentramento, un contadino russo le aveva offerto un pezzo di carne di maiale che lei, nonostante la fame, rifiutò perché non kosher, perché se niente importa, non c’è niente da salvare.

Voglio concludere questo articolo con la riflessione che, forse, più di tutto mi ha colpita durante la lettura e che più di tutto mi ha spinta a prendere una decisione che è mia e che non imporrei comunque ad altri: il piacere che noi proviamo nel mangiare carne e/o pesce, giustifica tutte le sofferenze che infliggiamo agli animali? Cinque minuti di nostro piacere giustificano intere vite di privazioni, maltrattamenti e dolore come quelle che riserviamo agli animali? Secondo me no. Tu, invece, cosa ne pensi?

La copertina dell’opera
Autore: Jonathan Safran Foer
Titolo dell’opera: Se niente importa. Perché mangiamo gli animali?
Titolo originale dell’opera: Eating Animals
Numero di pagine: 363
Voto: 5/5
Dove trovarlo: libro, ebook, audiolibro

Leggere Cecità durante una pandemia

Non ho di sicuro scelto il momento giusto per leggere Cecità di Saramago, o forse è stato proprio il periodo perfetto, nel quale entrare in empatia con il racconto era obbligatorio?

Il 2020 sarà sempre segnato dall’epidemia di Covid19 che ha obbligato tutto il pianeta ad una quarantena forzata e la social distancing non sarà più solo una prerogativa degli asociali, bensì un salvavita anche per le persone che del tocco umano non possono fare a meno, a costo di mettere in imbarazzo l’interlocutore.

La copertina

La trama

Per chi non sa di che cosa tratti questo romanzo, in breve, Saramago ci porta in un paese non definito nel quale le persone si ammalano di una cecità bianca, chiamata “mare di latte”. La malattia arriva senza alcun segnale, improvvisamente alla persona prima normovedente si presenta uno visuale completamente bianca. Chi è venuto a contatto ravvicinato, anche solo la stessa presenza in una stanza d’attesa dal dottore, provoca il contagio. Le prime persone, poche, ammalate vengono messe in quarantena in un vecchio manicomio e qui, lontano dagli occhi della civiltà, avviene la lotta alla sopravvivenza tra disperati.

Leggendo mi sono resa conto che si trattasse di un’allegoria. Ad una prima lettura pensavo all’ennesima interpretazione della cattiveria umana, ma il Libro della letteratura ha sciolto ogni mio dubbio: Cecità è una allegoria satirica sullo Stato autoritario portoghese l’Estado Novo che ebbe il potere in Portogallo tra il 1933 e il 1974. Leggendo le pagine di questo romanzo ci facciamo un’idea molto chiara di come questo potere sia stato mantenuto in Portogallo. Le cose che succedono dentro il manicomio mostrano l’umano che si lascia andare alla sua parte più animale, a quella che risponde solo alla propria sopravvivenza.

Rinchiudere delle persone in una struttura, dimenticarsi di portargli da mangiare, non offrirgli cure e non aiutarli a sotterrare i morti, sono solo alcune delle immagini che dobbiamo leggere per attraversare la storia. José Saramago scrive tutto vividamente, con dettagli così minuziosi da lasciarmi la sensazione di trovarmi dentro al manicomio anche dopo aver spento il Kindle. Essere obbligata – da me stessa, perché a Berlino non c’è l’obbligo di proteggersi naso e bocca quando si è all’aperto – ad avere una mascherina che mi copre metà viso, non poter avere la libertà di fare quello che sono stata abituata a fare fino a febbraio scorso, aggiunge pathos a quello che leggi.

Un esempio di pagina.

La scrittura di Saramago

A prima occhiata la lettura è un po’ pesante. La pagina si vede tutta compatta, non c’è spazio per tirare un respiro e riprendersi da quello appena letto. Spesso il mio occhio si è perso e perdevo il segno se non ero molto concentrata su quello che stavo leggendo. Questo all’inizio, perché quando poi si prende confidenza con la moglie del medico, il medico, il primo cieco, la moglie del primo cieco, la ragazza con gli occhiali da sole, il vecchio con la benda e il ragazzino strabico, ti sei ormai abituata e il testo scorre meglio, forse perché ti senti così vicino a questi personaggi senza nome, che potrebbero essere chiunque, e vuoi sapere cosa ne sarà di loro, ma allo stesso tempo inconsciamente pensi che a te è andata meglio.
I sette personaggi principali non hanno nome, ma solo una connotazione che ce li fa sempre ritrovare fra tutte quelle persone ormai immerse nel mare di latte.

Le sensazioni lasciate

Io uscivo e mi sentivo addosso la paura di diventare cieca. Camminavo per strada e mi chiedevo come avrei potuto trovarmi qui se non ci fossero state le immagini che vedevo ad accompagnarmi. In aggiunta alla situazione medica mondiale, davanti a casa mia ci sono i lavori, la strada è smantellata, c’è disordine ovunque e i bidoni della spazzatura sono raggruppati tutti assieme all’angolo della strada, ti lascio immaginare il puzzo.

Beh io queste settimane non ho solo letto Cecità, ma ho pensato che mi rincorresse pure, mi seguisse e non mi lasciasse più. Si dice che quando qualcosa ci tormenta bisogna metterla per iscritto e questo perderà il peso che esercita su di noi. Lo spero davvero.

Autore: Josè Saramago
Titolo dell’opera: Cecità
Titolo originale dell’opera: Ensaio sobre a Cegueira
Anno di pubblicazione:1995
Voto: 4
Dove trovarlo: in formato libro, in eBook
Numero di pagine: 276
Informazioni compresse