Da qualche tempo a questa parte, già molto prima che la pandemia Covid-19 ci mettesse di fronte alla vera fragilità del nostro pianeta, della nostra salute e delle nostre convinzioni , mi ero ritrovata a riflettere sulla probabilità di provare a cambiare le mie abitudini alimentari, per cercare di eliminare completamente il consumo di carne e pesce dalla mia dieta.

L’alimentazione, ma più precisamente il piacere derivante dal mangiare un qualcosa di appetitoso, è un elemento centrale della vita di ognuno di noi e per questo, ogni tentativo di cambiare certe abitudini con le quali nasciamo, cresciamo e diventiamo adulti diventa incredibilmente difficile, se non troviamo qualcosa che, per noi e per la nostra sensibilità, ci spinge a fare un passo che non sempre sarà semplice non rimpiangere.

Ad inizio maggio, quando ancora ci sembrava di vivere in un racconto distopico, ho iniziato a leggere il saggio di Jonathan Safran Foer intitolato Se niente importa. Perché mangiamo gli animali? e mi sono resa conto che era la sveglia o, per meglio dire, la terapia d’urto di cui avevo bisogno.

Il saggio riporta molti dei dati (anche dell’OMS) raccolti dall’autore in tre anni di ricerche, interviste ad attivisti animalisti e allevatori e riflessioni sull’eticità delle nostre scelte alimentari.

Il quadro che ne esce è nella stragrande maggioranza dei casi totalmente sconcertante: il maltrattamento inaudito nei confronti di animali fatti nascere e crescere in modo totalmente meccanico, a cui viene tolta la possibilità di avere uno spazio entro il quale muoversi, a cui viene tolta la possibilità di vedere la luce del sole, a cui viene tolta la possibilità di poter essere sani – essendo costantemente imbottiti di medicinali che velocizzano la loro crescita ma ne annullano il sistema immunitario -, a cui viene tolta la possibilità di vivere.

Animali annullati della loro dignità e della loro forza, animali vivi costretti in spazi strettissimi insieme ad altri animali malati o morti o in putrefazione. Un covo di potenziali batteri che causano malattie mortali che non aspetta altro di diffondersi in più organismi possibili, tra cui quello umano, attraverso lo spillover, ovvero il salto di specie.

Ci ricorda qualcosa?

L’autore ci porta con sé e ci fa vedere, attraverso i suoi occhi, quello che vede lui quando, insieme ad un’attivista per i diritti degli animali, ci fa intrufolare in un allevamento intensivo, in piena notte, rischiando la pelle per il semplice fatto di essere lì. Perché riuscire ad avere il permesso di visitare un allevamento intensivo, semplicemente, è impossibile. Ci viene raccontato di come i governi si impegnino falsamente per garantire agli animali la dignità che meriterebbero, e ci viene raccontato di come i pezzi da novanta dell’industria agroalimentare siano invischiati fino ai capelli con la politica e di quanto siano troppo potenti per poter pensare di fare qualsiasi cosa per fermarli o per, almeno, imporgli di adottare dei metodi di macellazione dignitosi e che non infliggano sofferenze sadiche e crudele agli animali.

Il libro è stato pubblicato nel 2009 e leggerlo nel bel mezzo di un lockdown indetto per provare a contenere una pandemia diffusasi da un wet market di Wuhan mi è sembrato quasi uno scherzo di pessimo gusto fattomi dal destino, perché leggere in un libro di 11 anni fa delle ricerche e dati pubblicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e vedere quanto fosse chiaro allora (e chissà da quanto tempo prima) che la situazione sanitaria mondiale era una bomba ad orologeria destinata a scoppiare da un momento all’altro, perché lo sfruttamento degli animali, l’allevamento intensivo, la mancanza di norme igieniche avrebbero finito col portare allo scoppiare di una nuova ed incontrollabile malattia, fa rabbia. Ma anche tanta tristezza.

Il titolo in italiano dell’opera, prende spunto da una conversazione avuta in gioventù dall’autore con sua nonna, sopravvissuta all’Olocausto che gli raccontava che una volta fuori dal campo di concentramento, un contadino russo le aveva offerto un pezzo di carne di maiale che lei, nonostante la fame, rifiutò perché non kosher, perché se niente importa, non c’è niente da salvare.

Voglio concludere questo articolo con la riflessione che, forse, più di tutto mi ha colpita durante la lettura e che più di tutto mi ha spinta a prendere una decisione che è mia e che non imporrei comunque ad altri: il piacere che noi proviamo nel mangiare carne e/o pesce, giustifica tutte le sofferenze che infliggiamo agli animali? Cinque minuti di nostro piacere giustificano intere vite di privazioni, maltrattamenti e dolore come quelle che riserviamo agli animali? Secondo me no. Tu, invece, cosa ne pensi?

La copertina dell’opera
Autore: Jonathan Safran Foer
Titolo dell’opera: Se niente importa. Perché mangiamo gli animali?
Titolo originale dell’opera: Eating Animals
Numero di pagine: 363
Voto: 5/5
Dove trovarlo: libro, ebook, audiolibro

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